L a partita del Maradona ha lasciato un’eredità che va oltre il risultato e impone una riflessione più ampia sul momento dell’Atalanta e sulle sfide che attendono Palladino. Il divario tra i due tempi ha mostrato con chiarezza quanto questa squadra sia ancora in transizione, capace di riaccendersi quando trova struttura e riferimenti ma allo stesso tempo vulnerabile quando si espone con un baricentro troppo alto o quando affida la costruzione a meccanismi lenti e poco coraggiosi. Il Napoli ha evidenziato tutte le fragilità dei nerazzurri nel primo tempo, mentre la ripresa ha offerto uno spiraglio di ciò che potrebbe diventare la nuova Atalanta se sostenuta da idee più verticali e da una presenza offensiva più definita. Da questo contrasto nasce la necessità di analizzare più a fondo cosa non ha funzionato, cosa ha convinto e quali sono le priorità del nuovo ciclo.
Nel primo tempo è emerso in modo evidente il limite strutturale dell’Atalanta quando sceglie di giocare senza un riferimento centrale, con un baricentro molto alto, e contro squadre dotate di attaccanti rapidi e transizioni verticali. La volontà di aggredire in avanti e di pressare in modo coordinato può avere senso se la pressione è portata in modo selettivo (ma convinto e feroce), come ha fatto proprio la squadra di Conte, ma se lo si fa in modo più “misurato”, come ha fatto l’Atalanta contro un Napoli disposto a manipolare gli spazi, la strategia ha prodotto l’effetto opposto. L’Atalanta si è ritrovata costantemente esposta, con metri di campo alle spalle della linea difensiva e con braccetti chiamati a lunghe corse all’indietro, spesso in ritardo sia di lettura che di posizione.
L’idea di attirare in alto gli avversari con la costruzione bassa, che Conte ha utilizzato con lucidità, ha amplificato il problema. Ogni volta che il Napoli ha consolidato il possesso nella propria metà campo l’Atalanta ha alzato automaticamente la pressione, accettando duelli a campo aperto che hanno favorito gli uomini di Conte. L’azione del primo gol è nata proprio da questa dinamica, con Ahanor sorpreso dalla corsa esterna di Neres e con la linea difensiva troppo proiettata in avanti per poter recuperare la profondità.
Il limite non è stato solo individuale ma collettivo. La squadra ha concesso sempre il primo passaggio al Napoli, consentendogli di pensare, di orientare l’uscita, e di preparare la verticalizzazione successiva. Questo ciclo ha esposto l’Atalanta a una serie di situazioni in cui le distanze tra i reparti erano troppo ampie per poter reagire con ordine. La capacità del Napoli di alternare momenti di possesso corto a improvvise accelerazioni ha messo in luce una fragilità già vista in altre gare. Quando l’Atalanta prova a dominare il campo diventa vulnerabile a qualsiasi squadra che sappia sfruttare gli spazi.