Q uesta non è la solita analisi post-partita. Non si concentrerà su episodi, numeri o cambi, perché il problema dell’Atalanta di oggi è più profondo. Non è solo una questione di gioco, ma di identità. Di direzione. Di senso. L’illusione che bastasse mantenere lo schema per proseguire una storia vincente si è scontrata con la realtà del campo. Quando l’Atalanta ha scelto Ivan Jurić per il dopo Gasperini, la decisione è sembrata, almeno in superficie, un atto di coerenza. Si cercava un tecnico capace di garantire una continuità di metodo, una transizione morbida tra due epoche che non apparissero in contrasto. Il profilo dell’allenatore croato sembrava perfetto per raccogliere quell’eredità, fatta di un calcio intenso, basato su marcature dedicate, aggressività e organizzazione, concetti che avevano fatto la fortuna del ciclo precedente. Ma la realtà si è rivelata ben diversa. Jurić ha mantenuto l’impianto, ma ha cancellato o distorto gran parte dei principi di gioco che hanno contraddistinto l’Atalanta delle ultime stagioni. Quella che doveva essere un’evoluzione si è trasformata velocemente in un’imitazione incompleta.
Sin dalle prime giornate si è percepito che la nuova Atalanta non era né la prosecuzione della vecchia né una sua versione aggiornata. È parsa un ibrido, una squadra rimasta sospesa tra la memoria di ciò che è stata e l’incertezza di ciò che vuole diventare. La società, forse, ha avuto paura di cambiare davvero, preferendo la rassicurazione che può dare una “copia”, invece di scegliere un tecnico che marcasse la rottura netta con il passato.