L’Atalanta e l’inizio di stagione «frenato»: i dati e l’analisi che smentiscono i luoghi comuni del «calcio parlato»

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I l calcio, lo sappiamo tutti, è uno sport di massa, in grado di raccogliere appassionati in ogni angolo del globo. Proprio per questa ragione ha da sempre avuto bisogno di un linguaggio semplice ed immediato per poterne essere discusso, in grado di arrivare a chiunque, che si trattasse di una semplice chiacchierata tra amici al bar, o un gruppo di ragazzini in un campetto. Un linguaggio che allo stesso tempo accomuna macro concetti di gioco, e che rende chiunque in grado di parlarne in maniera “abbastanza coerente” anche solo dopo poche partite giocate, o viste in tv. Proprio per queste ragioni, ovvero l’estrema semplificazione con la quale ci siamo abituati a parlarne, ha fatto sì che nel tempo alcuni concetti si sedimentassero sotto forma di “luoghi comuni”, ovvero strutture di pensiero poco analizzate, imprecise o in alcuni casi completamente errate, che hanno finito per sedimentarsi come “dato di fatto”. Queste forme di pensiero (poi vedremo di inquadrarne alcune legate anche all’ultima partita giocata dall’Atalanta contro il Bologna), ripetute senza troppo rifletterci sopra, hanno ingenerato nella gente che segue il calcio la convinzione che si tratti di “verità assolute” e per questo insindacabili. Ma facciamo un passo indietro. Il calcio è in verità uno sport che può essere “vissuto” a diversi livelli. Ci si può trovare in campetto fra amici e giocare in modo più o meno libero. In questo caso nessuno sottolineerà una tecnica approssimativa o la mancanza di una tattica di squadra. Se però ci si avvicina ad un club, anche di quartiere, ci si renderà subito conto che l’importanza dell’esecuzione del gesto tecnico diventerà più rilevante, sia in partita che in allenamento. Allo stesso modo, si potrà notare una diversa organizzazione delle collaborazioni tra compagni, che formeranno una tattica di squadra. L’elaborazione di questi concetti (principi, sotto principi e sotto sotto principi) è differente dal “livello” di campionato che stiamo osservando. L’età degli atleti, le loro capacità fisiche, tecniche e di apprendimento, il livello di preparazione degli allenatori (o dell’allenatore), e soprattutto il tempo settimanale che hanno a disposizione per allenare le diverse situazioni di gioco, fa sì che ai livelli più bassi si abbia un’organizzazione tattica nettamente più semplificata, rispetto ai livelli più alti. Il calcio professionistico ha subito però dei cambiamenti radicali negli ultimi venti anni, sicché la scienza e lo studio delle situazioni di gioco lo hanno reso uno sport molto differente da quello giocato dai nostri padri. Riallacciandoci alla nostra introduzione, lo stesso avviene a livello mediatico quando si tenta di analizzare in modo più approfondito le diverse situazioni di gioco. E’ estremamente difficile, per chi lo fa, introdurre concetti nuovi che vengano accettati dalla maggior parte dei lettori. Per questo motivo, la stampa e le televisioni nazionali sono indotta a “semplificare” il più possibile ed a “scadere” frequentemente nel luogo comune. Qui su Corner cerchiamo di fare un lavoro differente che spesso ci espone a critiche. Vogliamo capire (chi vi scrive in primis) nel modo più oggettivo possibile (con l’ausilio dei numeri ma non solo) quanto accade sul terreno di gioco, sviando dal “luogo comune”. Riteniamo che così come è radicalmente cambiato il gioco, anche il livello di comprensione si debba adeguare, anche se siamo coscienti che sarà un processo non immediato. Torniamo ora all’Atalanta ed alla sua “partenza ad handicap” come l’ha ritenuta gran parte della stampa nazionale.