Atalanta, attenta a Rashford, nato per il gol. Storia del bomber che segna in campo, ma vince soprattutto fuori

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I n un calcio di «bad boy» modaioli e wags al seguito lui è l’eccezione. Dopo la mitica classe ’92 dello United (Beckham, i due Neville, Scholes, Butt e un pezzo di Giggs, roba da sbarrare gli occhi), Marcus Rashford è di gran lunga il migliore prodotto del vivaio di Manchester, lato rosso beninteso. A soli 24 anni, compiuti domenica scorsa, il ragazzo può contare su 180 presenze e 56 goal con i Red Devils, l’ultimo sabato a Londra nel 3-0 esterni al Tottenham di Romero (e Gollini in panca), il penultimo ad Old Trafford una decina di giorni prima, quello che ha dato il «la» alla rimonta contro l’Atalanta in Champions. Ma oltre ad essere un fior di giocatore, Rashford è quel che si dice un esempio virtuoso al di là del calcio. Scordatevi il tipico sbruffoncello da working class che fa soldi e li spende in macchinoni, champagne, donne da copertina e comportamenti all’eccesso. Per i tabloid che per decenni hanno campato sulle vicissitudini extracalcistiche vari Fowler e Balotelli, e prima ancora proprio sulla leggenda rossa di Manchester, George Best, o sul vippume di un Beckham con posh spice (al secolo Victoria) al seguito è stato un colpo basso, per il resto del Paese una sana boccata d’ossigeno. Non che Rashford sia figlio dell’Inghilterra benestante, proprio no, è la testa ad essere diversa, fuori e dentro dal campo.