Atalanta e Torino: tifare vuol dire (anche) soffrire. Due storie granata per capire, col Mondo e Reja

storia. Un racconto di Dino Nikpalj

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R obe da Toro. Chi tifa (e soffre) per i granata sa bene che è una vita sulle montagne russe, con poche gioie e tante cocenti delusioni. Per esempio essersi giocati la serie A per un palo, oppure una Coppa Uefa senza aver perso una delle due finali ma solo per la perversa (ora finalmente cancellata) regola delle reti in trasferta. Storie di cuore e nervi di una tifoseria abituata a soffrire, più o meno da Superga in qua: basti pensare che dopo quell’immane tragedia del 1949 - dove nello schianto dell’aereo sparisce forse la squadra italiana più forte della storia – sono serviti la bellezza di 27 anni per festeggiare uno scudetto. Salvo poi perdere quello successivo per un punto uno: 50 contro i 51 della Juventus a fronte dei 60 disponibili e avendo perso una sola partita contro le due dei bianconeri. Robe da Toro, appunto. Da Amsterdam a Reggio Emilia ci passano oltre 1200 chilometri, 6 anni e 2 allenatori che hanno scritto pagine importanti anche nella storia dell’Atalanta: il mito Emiliano Mondonico ed Edy Reja, uno che in teoria ha annunciato più e più volte la pensione ma che lo scorso marzo, a 77 anni, ha accettato la panchina dell’Nd Gorica in Slovenia in Prva Liga, praticamente fuori casa. Riavvolgiamo il nastro e cominciamo il viaggio dalla Coppa Uefa 1991-92 con il Toro guidato dal Mondo alla sua terza esperienza europea.