Caudano e la partita di Amsterdam vissuta con una grande paura: di perdere Gasp. Poi quel sorriso, e il sollievo

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O rmai, il professor Caudano conosce l’atmosfera di pacata euforia che regna in casa sua nei dopopartita di Champions, specie di quando la Champions regala imprese in trasferta. E calcola gustandosi un chinotto fresco che ormai l’ultimo match europeo infruttuoso giocato fuori casa risale alla sconfitta sul campo del Manchester City di Guardiola. Da allora, cioè da più di un anno fa, l’Atalanta di Champions lontano da Bergamo ha solo vinto. A Kharkiv, a Valencia e poi nelle tre trasferte di quest’anno, due delle quali giocate niente meno che a Liverpool e ad Amsterdam. Certo, di mezzo c’è il campo neutro di Lisbona e si è evitato il viaggio a Parigi e a casa del PSG, ma, se il coronavirus ha comportato questa piccola eccezione statistica, non è colpa certo dell’Atalanta. Caudano sorseggia e medita: cinque campi altrui visitati, altrettante vittorie e quest’anno senza subire reti, passaggio del turno, nuova iscrizione nel club esclusivo del meglio del calcio europeo. Glielo avessero detto al momento del sorteggio, non ci avrebbe mai creduto: specie, alle vittorie con rete inviolata ad Anfield e alla Cruijff Arena. Questa volta, però, il buon Elvio avverte che c’è qualcosa di diverso dalle altre volte. Si sente come spossato. Manco avesse corso lui, per novanta minuti contro i lancieri, manco avesse lottato lui, sul campo. E la ragione la sa. I giorni di bufera e di spifferi, di chiacchiere e indiscrezioni lo hanno provato.