Caudano e quell’uscita sul filo del coprifuoco. Le vite che ripartono e un pensiero per Caldara, che partirà

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P ropriamente, non è ancora estate. Ma di fatto lo è. Perché fa caldo, perché la gente può uscire e restare fuori fino a mezzanotte, perché la scuola è finita. Il professor Caudano è atteso dalla maturità, ma ora sono i giorni punteggiati da rari scrutini che gli paiono come piccoli scogli in un mare di ore libere. E di tranquillità. Sabato sera, verso le dieci, Elvio smette di leggere. Scende per strada e comincia a vagare per Jesi, «dentro da la cerchia antica». Lambisce le vie più centrali e affollate, ma per lo più le evita. Non ha voglia che lo fermino o anche solo lo salutino gli alunni; ancor meno, ha la vocazione dell’ex insegnante che si intrattiene a chiacchierare con gli ex allievi: forse, ne invidia l’età e i resoconti pieni di esami dati, di entusiasmo per l’università, di incontenibile ansia di futuro. Lui, vicino al tramonto, e giunto alla fine di una giornata più immaginata che vissuta, malsopporterebbe quei racconti di chi su quella giornata si affaccia, e tutto ancora può. Perciò, pur evitando la periferia, del centro sceglie strade e vicoli secondari, su cui non si affaccino i dehor dei caffè e per i quali passino rare ombre. Caudano cammina, guarda le finestre ora accese e ora spente, ma tutte aperte, delle case, coglie frammenti di conversazione e si diverte, o almeno distrae dalla propria, immaginando le vite degli altri. Due voci di uomini da un secondo piano parlano dei costi di un progetto e di quanto coprirebbe la banca. Passa una giovane coppia ai titoli di coda. Lei: “Ti sembra una storia da trascinare ancora, se tutto è sempre così difficile?”. Lui cammina un poco indietro, tacendo, e finché Caudano può ascoltare non trova argomenti con cui rispondere.