Caudano, la scuola e il trauma di Lecce-Atalanta. E per ogni problema ha una sola esclamazione: Gasp!

storia.

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“Lecce laccio”.

“Gasp, gasp!”.

“Coda di paglia in Puglia”.

“Trasformare trasferta sul mare in un mare di male non trasferibile”.

Giochicchia su un foglio, all’indomani del turno del mercoledì, il professor Caudano. Giochicchia in sala professori con i suoni e le etimologie, con la realtà e le metafore. Ha sempre pensato che la lingua non serva solo per comunicare, ma anche per sdrammatizzare. Per questo, fra sé inventa soprannomi a colleghi e alunni, o riformula a suo piacimento i nomi di istituzioni e fatti. Perché ridire è un po’ possedere; alterare è un po’ dominare. E così, a un uomo timido e sostanzialmente inerme come il buon Elvio, quella risorsa dà a volte un po’ di respiro. Come quando nei soliloqui domestici evoca la terribile collega, e vicepreside, Rusiello appellandola Tatarusiello, manco fosse un portiere di incerta gloria; come quando sul suo quadernetto annota irrituali giudizi e osservazioni sugli alunni (tipo l’ultimo, per un primino cileno: “German Alessio Morocho Zambrano, ombroso, pessimista fino al disfattismo sulla propria preparazione, dipoi risultando più preparato di tanti altri, anche signorini italiani…”); o come quando irrideva il Policlinico di Ancona, con cui doveva aver a che fare per una piccola noia, chiamandolo incongruamente “Politecnico”.