Caudano e la lite (immaginaria) con una prof. che non capisce la passione per il calcio. E lui le spiega l’Atalanta

storia. Il racconto di Stefano Corsi

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L a collega Rosati è una bella signora, non arriva ai quarantacinque anni e con il suo sorriso cordiale, i suoi occhi azzurri e i suoi vaporosi capelli biondi insegna matematica in classi che le vogliono bene. Lo fa non perché abbia bisogno di guadagnare, ma perché a casa si annoierebbe: anche se il marito è un affermato professionista e basterebbe e avanzerebbe per provvedere a se stesso, a lei e ai loro due figli (diciannove e sedici anni), la collega Rosati preferisce sorbirsi le diciotto ore settimanali in classe, le riunioni, le correzioni e la preparazione delle lezioni piuttosto che venir mantenuta e oziare, visto che, anche restasse a casa, alle incombenze domestiche provvederebbero comunque due colf filippine. Equilibrata, risolta come accade alle persone felici, o che comunque hanno imparato a ridurre al minimo i margini di infelicità, non è mai contestata né dai ragazzi né dai genitori. Il professor Caudano la guarda con una punta di invidia, ma soprattutto la sente molto diversa da sé. Non sono mai stati colleghi nella stessa classe e questo gli ha consentito di non averci quasi mai a che fare. Sensibile al fascino femminile come possono esserlo solo gli uomini che alle donne guardano con timido incanto pressoché incapace di volgere dalla teoria alla costruttività della prassi, le gira sostanzialmente alla larga. E non solo perché è sposata: per evitarsi inutili sofferenze. Come ogni giovedì, condividono la terza ora libera. La scena è abbastanza consueta: la collega Rosati chiacchiera con qualche altra docente mamma; Caudano, defilato, o corregge o legge.