Caudano, scuola e Atalanta. Un’alunna russa da «riorientare» e il triste destino comune di Miranchuk, verso l’addio

storia.

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Q uei giorni d’autunno con il cielo come sbrecciato, che già a mezzogiorno sa di sera, un poco a tinte aranciate e un poco a tinte bluastre, o violacee. Il professor Caudano esce da una faticosa mattinata scolastica, irta di temi da rivedere con i ragazzi di terza (ben lontani dall’essere capaci di maneggiare la lingua scritta, per cui sbagliano le correlazioni, rendono transitivi i verbi che non lo sono, fanno funzionare i gerundi come non dovrebbero) e di compiti di latino malfatti da quelli di prima (dai quali ancora non pare acquisito il concetto che prima di svolgere un esercizio bisogna avere capito e memorizzato la teoria cui esso è dedicato). “Sembra trattino le materie scolastiche come i loro smartphone: li scartano, non leggono mezza istruzione e imparano a utilizzarli utilizzandoli; ma con latino e matematica non può andare così”, bofonchia rientrando a casa. Quel cielo gli trafigge il cuore. Si sente esattamente solo quanto lo è. E l’idea del pranzo domestico lo demoralizza. Lungo la strada come sempre incappa in una trattoria dove mai è entrato in vita sua. Ma in questo venerdì malinconico la tentazione di un diversivo è troppo forte. Ci sono giorni d’autunno nei quali varcare la porta di un locale è trovare un porto. Il buon Elvio decide che per una volta si può anche concedere di spendere il necessario per sfuggire alla sua cucina senza fantasia e al suo pasto in compagnia della radio. Entra.