Chissà come ripartirà il sogno Champions. Si studiano le formule... Una debuttante in finale? C’è stata. Atalanta, why not?

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E ra così, né carne né pesce. Qualcosa in attesa di cambiare ma senza sapere ancora come. In fin dei conti quel “dentro o fuori” era il fascino dell’Europa: altro che sorteggi pilotati o “teste di serie”. La Coppa dei Campioni era una sorta di girone infernale dove ti poteva capitare di tutto già al primo turno, senza filtri di sorta. A cavallo tra ani ’70 e ’80 la Juventus, per dire, si beccò sì i ciprioti dell’Omonia Nicosia o i danesi dello Hvidovre, ma pure gli scozzesi Rangers e Celtic. Al Liverpool nell’edizione 1978-79 andò anche peggio: da campione in carica trovò al primo turno il Nottingham Forest di Brian Clough che aveva vinto a sorpresa il titolo nazionale. E finì fuori subito, senza appello. Col passare degli anni, però, serviva un po’ di pepe, qualcosa che da un lato garantisse lo spettacolo e dall’altro un tot numero di partite ai club, poco propensi a scendere subito dalla giostra. L’attuale assetto della Champions, in tal senso, è emblematico: una volta entrati nelle 32 migliori d’Europa, per piazzamento nazionale o via preliminari, mal che vada le sei partite del girone le hai garantite. E sono comunque soldi, oltre che esperienza. Ma prima di arrivarci la strada è stata abbastanza tortuosa e, volendo vedere, si è partiti dalla fine piuttosto che dall’inizio: per la precisione nell’edizione 1991-92, l’ultima con la vecchia denominazione di Coppa dei Campioni.