Il prof. Caudano e la doppia ripartenza: quella «dolorosa» della scuola e quella speranzosa dell’Atalanta (e di Gasp)

storia.

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Q uando era adolescente, Elvio Caudano era un curioso tipo di ragazzo. Studioso e timido, com’è naturale, ma anche caratterizzato da una forte sensibilità religiosa. Che si esplicava nella fedele assiduità alla messa domenicale e alla confessione mensile. Don Carlo, il parroco di allora, era un pretone grosso e alto; quando cantava, la sua voce copriva quelle del coro; quando predicava, ed erano prediche di grande spessore, le sue parole rimbombavano sotto le volte della chiesa e si imprimevano nella mente e nel cuore del giovane Elvio, che si sedeva in fondo, seminascosto. Era la prima messa, quella delle massaie poi chiamate alla preparazione del pranzo festivo. Elvio ci andava perché era invece atteso dai compiti che doveva eseguire e dalle lezioni che doveva studiare o ripassare. Il sacramento della penitenza veniva celebrato in un confessionale ricavato alla sinistra dell’altare: uno stanzino imbiancato alla meglio e dotato di uno sgabello per il prete e di un inginocchiatoio per il penitente. La luce la garantiva una lampada cordiale, non troppo forte. Sui cardini cigolanti, ruotava una porta di color crema. Elvio accostava quel momento con uno spirito di contrizione assoluto, nutrito del suo senso critico e autocritico, implacabile nell’individuare e raccontare le colpe accumulatesi durante il mese, e le omissioni.