Il prof. Caudano in «gita» a Torino: storia di un incontro quasi impossibile (un po’ come Holm e Hateboer)

storia. Il racconto di Stefano Corsi

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I l professor Caudano ha pensato i denti. Non perché lui e Irene fossero due cavalli. Né perché i denti per lui siano così importanti. Ma il primo dettaglio che lo ha colpito e annientato sono stati i denti. Mattina di martedì. Nel cuore la leggerezza di un 5-0 ottenuto in scioltezza, con un avvio bruciante e un finale che lo aveva confermato, con meno furore ma uguale qualità. Aveva deciso la sera stessa di andarsene in treno a Torino, tanto Claudio portava i suoi figli in stazione e gli avrebbe dato un passaggio fin lì. Poi, avrebbe fatto il viaggio con i due ragazzi, li avrebbe lasciati a Porta Nuova e si sarebbe fatto un giro per una città che non conosceva. Non poteva immaginare l’agguato che Torino gli avrebbe teso. Uscito dalla stazione, ha preso a destra, come gli suggeriva la mappa sul cellulare. Bastava andare sempre dritto e avrebbe raggiunto il Po. Di lì, sarebbe risalito in Piazza Vittorio Veneto e avrebbe poi girato in centro. Si era segnato il nome di alcune libere antiquarie, avrebbe cercato qualche prima edizione di scrittori del Novecento, magari di Arpino, torinese e quindi più facile da trovare. Peccato che dopo non molti passi dalla stazione, lo avesse attratto un caffè da vecchia Torino, il “Lumière”, ligneo negli arredi, piena di cioccolato la vetrina, opulento il banco delle torte e delle brioches. Con l’aggiunta di occhieggianti frittelle di mela. Tutto di produzione propria, chiaramente. Il povero Elvio è entrato, infreddolito e consolato dall’idea di una colazione come si deve, quando lo ha accolto un’imprevedibile, limpida voce femminile: “Prof! Che ci fa qui?!”. Si è voltato di scatto, ma l’aveva già riconosciuta: Irene, la sua alunna prediletta della quinta dell’anno scorso, quella che gli aveva sussurrato un “grazie” dopo la sua spiegazione dell’ode del Soratte, episodio che lo aveva tanto consolato.