Il prof. Caudano, la rimonta dell’Atalanta e quegli occhi afghani impressi nel cuore: il suo nuovo allievo, da Kandahar

storia.

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Q uegli occhi che lo fissavano. Di cerbiatto smarrito. E intelligenti. Scuri e profondi. Il professor Caudano se li è sentiti puntati addosso per tutte le due ore trascorse nella sua prima. E se li sente puntati addosso anche nella sera deserta della sua casa, in cui attende l’inizio della partita di Champions. Sono come un ricordo; non molesto, no. Ma che lo interroga fino a sembrargli un rimorso. Sicché cerca di non pensarci. La partita è di quelle che possono assorbirlo, un appuntamento con la storia. L’Atalanta all’“Old Trafford” era inimmaginabile: “Sei anni fa non ci avrebbero voluto neppure per un’amichevole estiva”, chiosa fra sé il buon Elvio, “ed ora è realtà. Tutto merito di quell’uomo lì”, opina fra sé mentre vede i capelli bianchi di Gasperini sullo fondo dei mitici mattoni della panchina inglese. Primo tempo pazzesco. Quegli occhi quasi spariscono. Quasi. Segna Pasalic. “L’uomo delle reti che contano. Che diresti quasi che non si spreca farne di altre”, esulta il professor Caudano. E pensa all’incornata di “San Siro” contro Guardiuola, al tiro di prima intenzione scoccato a Lisbona contro il Psg, a questo spunto bruciante su invenzione preziosa di Ilicic. È passato un quarto d’ora. Ne passa un altro e Demiral inzucca un bel corner di Koopmeiner. Il buon Elvio guarda incredulo il punteggio in alto sul teleschermo: 0-2. C’è aria d’impresa, come a Liverpool due volte, come ad Amsterdam. Anni che sono come una cornucopia di stelle rovesciata sul suo cuore di tifoso, fra Italia ed Europa. Anni forse irripetibili. E gli anni, i pochi anni nascosti dietro a quegli occhi? Caudano se lo è chiesto, durante le due ore in prima.