Il prof. Caudano a un pranzo di milanisti mentre segna De Ketelaere: il loro sconforto, la sua gioia sottile

storia. Il nuovo racconto di Stefano Corsi

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S arda, bruna, alta e con occhi scintillanti, ai tempi la professoressa Cara era vicepreside, al liceo “Leonardo da Vinci”. E “ai tempi” significa 35 anni fa, quando il professor Caudano vi giunse come docente fresco di ruolo e agli esordi nella professione. Fra i due nacque una certa simpatia: la Cara, oltre che essere vicepreside, nelle ore residue che poteva trascorrere in classe era un’inflessibile docente di Storia e Filosofia. Il giovane Caudano, dal canto suo, era molto più Caudano di ora: aveva l’energia dei trent’anni, l’entusiasmo del neofita e il rigore di chi ha appena concluso i suoi studi e li ha amati, sicché vuole vedere rispettate le discipline che li innervano. Come vicepreside, poi, la Cara era equanime, lucida, precisa, ma anche rispettosa, sicché anche nell’esercizio della sua seconda funzione non poteva che essere apprezzata dal giovane collega. Domenica 20 agosto cadeva il suo ottantesimo compleanno, e il marito e il figlio le hanno organizzato una festa a sorpresa in un bel ristorante appena fuori le mura. Fra gli invitati, anche il buon Elvio, con il quale la festeggiata ha continuato a sentirsi anche dopo essere andata in pensione, in telefonate non frequenti ma molto cordiali e assai convergenti nel rimpiangere la scuola degli anni in cui si sono conosciuti: più semplice, più selettiva, non ingombrata dalle invenzioni che sarebbero dipoi venute, come le famigerate competenze, l’alternanza scuola-lavoro, i recuperi, l’Educazione civica spalmata gratuitamente sulle varie discipline e le porte girevoli degli anni all’estero, dei continui open day delle università e dei relativi test che iniziano quando gli studenti sono ancora in quarta. Quella, era una scuola in cui l’insegnante doveva solo insegnare e lo studente solo studiare, con alle spalle i genitori più inclini a solidarizzare con i docenti che a proteggere lui.