Il prof. Caudano e le riflessioni su questo Bologna, che somiglia tanto alla «prima» Atalanta di Gasp

storia. Il nuovo racconto di Stefano Corsi

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C he ci piaccia o no, che crediamo o no, nulla come il Natale e le feste che lo contornano mettono a nudo chi siamo e come stiamo. Da un po’ di giorni, il professor Caudano aveva il non dichiarato tarlo relativo a dove passare la parte finale di dicembre: se tornare a Jesi o no. Da un lato, gli sembrava quasi doveroso fare un salto a casa, vedere se fosse tutto a posto, almeno negli ultimi giorni dell’anno onorare il centro materiale e ideale della sua vita. Dall’altro, la sola idea lo affacciava su un abisso: perché mai imbarcarsi nel viaggio? Chi c’era ad aspettarlo? Aveva senso farsi vedere in giro dove lo attendeva, al massimo, la curiosità di qualcuno che non aveva capito che fine avesse fatto, e null’altro? In realtà, l’unica buona ragione poteva essere banalmente materiale: passare da casa per riempire una valigia con altri abiti e con qualche buon libro.

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Assediato da questi dubbi, il mite Elvio è arrivato a venerdì mattina, 22 dicembre. Si sveglia per tempo, pochi istanti e il problema gli si affaccia sgarbatamente fra i primi pensieri. Si alza infastidito e, tanto per fare qualcosa, controlla la posta elettronica. C’è la mail di un giovane collega, il primo che gli scriva. È uno che a scuola gli voleva bene, e gli dimostrava stima, forse perché tanto diverso da lui.