“S e resto a Jesi, compio uno sproposito”, pensa a un certo punto di mercoledì mattina, ultima dell’anno scolastico, il professor Caudano. Inconsciamente conscio di una cosa: che, quando decidono che la misura è colma, le persone miti possono reagire peggio di qualunque arrogante pieno di sé.
Già, l’ultimo giorno di scuola è consacrato a riti che detesta: i saluti, i discorsi retorici, gli abbracci troppo inediti e troppo destinati a rimanere irripetuti per essere sinceri, e poi le bibite dai colori inquietanti, i salami di cioccolato fatti in casa, i biscotti dozzinali comprati, la musica nelle classi, la musica nei corridoi, le sguaiatezze assortite dei maschi e le prese di distanza mai abbastanza nette delle ragazze, che Caudano vagheggia tutte aristocratiche, inattingibili Beatrici e Laure, e paiono invece indifese anzitutto contro la propria fragilità…
In più, ci si mette anche altro.
La causa scatenante, in verità le cause, a non dire concause, sono tre. Tutte che si producono nella stessa mattinata di mercoledì e, nella loro perversa somma, appaiono insostenibili.