L’Atalanta e le difficoltà di Zapata. Duván, quattro anni fa, quei pugni sul petto. Lo scritto di Ombra

storia.

Lettura 4 min.

E rano circa quattro anni fa, di questi tempi. Uno di quei classici pomeriggi che quando sei seduto in tribuna non sei sotto l’acqua ma il freddo ti entra nelle ossa. Una di quelle domeniche che non osi nemmeno immaginare quello che passano i curvaioli, infradiciati e infreddoliti ma dalla passione infuocata. È una di quelle partite in cui si manifesta quella che si è arrivati a definire “la solita Atalanta di Gasperini”. Partenza casalinga condita da frenesia, impellenza, errori difensivi individuali e un’energia emotiva che ti faceva sopportare anche i brividi ghiacciati lungo la schiena e le dita di mani e piedi. Senza sapere bene come e perché sei sotto di tre gol. Crei di più, costruisci un’infinità, giochi persino meglio, ma segnano gli altri. Il Cigno di Sarajevo, due volte, e il Faraone. Almeno i soprannomi dei nostri giustizieri sono altisonanti: segnano Dzeko ed El Shaarawi, mica Pierino e Gigi. Eppure, l’anima che il mister di Grugliasco saprà sempre imprimere ai colori nerazzurri si apprezza ancor di più in momenti come questi. Il moto perpetuo non conosce variazioni, sia che si stia battendo il Milan 5-0 sia che ci si trovi 0-3 al 40’ con la Roma. Non è adesso che inizia a giocare, ma è adesso che si capisce cosa renda una squadra con una maglia nerazzurra che gioca a Bergamo l’Atalanta di Gian Piero Gasperini. Quella strana predilezione, quasi un feticcio, di Castagne per i gol ai giallorossi. L’incursione dell’ex Toloi a ricucire ulteriormente lo svantaggio al principio del secondo tempo. Non è corretto dire che l’Atalanta sia rientrata in partita. C’è sempre stata, e fino al fischio finale dell’esperienza di Gasperini ci sarà sempre.