L’Atalanta e l’inevitabile sudditanza psicologica (non solo degli arbitri). Riflessioni del professor Caudano

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E quindi? E quindi fuori dalle finestre del “Leonardo da Vinci”, e lungo la strada per arrivarci, sembra già quasi primavera. Il Real è venuto, il Real è andato. Il professor Caudano ha vissuto la giornata di mercoledì prima cullandosi nell’attesa, tutto facendo con il pensiero che poi, a sera, la sua Atalanta avrebbe giocato la partita più illustre della sua storia (e aulica, cardinale e curiale, ha celiato fra sé, spiegando il De vulgari eloquentia in terza); poi seguendo lo svolgimento di quella stessa partita con un’attenzione tesa e spasmodica quale gli eventi stessi, oltre che l’importanza del match, gli hanno imposto (quell’ottantina di minuti complessivi giocata in dieci, e quel goal di destro, beffa di un mancino puro in vena di magie), e infine rimuginando fra sé tutto il campionario di considerazioni che una partita simile lascia dietro di sé: l’espulsione, le prestazioni dei singoli (stima infinita per Toloi e Romero, De Roon e Gosens…), la tenuta splendida del fortino dei nove più il portiere, e non esattamente contro il cagionevole Crotone, le prospettive per il ritorno, fragili ma non cancellate del tutto. Due giorni dopo, sull’andata dell’ottavo di Champions il professor Caudano ha fatto in tempo a leggere e ascoltare di tutto, nulla si è risparmiato ed è giunto a una sorta di pace con se stesso.