L’Atalanta incrocia Alvini. Dalle suole delle scarpe alla Serie A: la mania per la tattica, il triplete al Tuttocuoio, l’AlbinoLeffe

storia.

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“M aledetti toscani”. Parafrasando Curzio Malaparte, Massimiliano Alvini è l’ennesimo (non l’ultimo, garantito…) prodotto di quell’autentica fucina di allenatori che è la Toscana. Regione sanguigna come poche, dove anche l’altro lato della strada sa di derby. Il 52enne Alvini in A va ad aggiungersi a gente come l’amico Maurizio Sarri (la tesi da allenatore l’ha fatta su di lui), Luciano Spalletti, Max Allegri (iniziali uguali, narrano le cronache che a Coverciano Alvini siglò al suo posto il foglio presenze di un corso, ma nessuno se ne accorse) e Alessio Dionisi. Fiorentino di Fucecchio, paese natale di Indro Montanelli che ivi riposa, Alvini conosce benissimo lo stadio (ora Gewiss) di Bergamo, l’ha frequentato per quasi 1.000 giorni ai tempi dell’AlbinoLeffe: un nono e un quinto posto in Lega Pro più un esonero in corsa. E qualche settimana di stop causa problemini al cuore, perché il tipo è decisamente passionale: pare che nel silenzio dei match seriani in viale Giulio Cesare (dove il pubblico se c’era era generalmente quello ospite) si udissero le sue grida ai giocatori più lontani, un continuo “oh gonziiiiiii…”. A Cremona l’ha voluto un altro pezzo di quell’AlbinoLeffe, Simone Giacchetta, all’epoca direttore sportivo bluceleste e ora in grigiorosso con medesimo incarico: uno che ha debuttato in serie A con il Napoli contro l’Atalanta al San Paolo nel 1988 segnando la rete della vittoria al 90° sfruttando un clamoroso assist di mano di Diego Armando Maradona.