L’Atalanta ritrova monsieur Zidane. Dalle banlieue ai trionfi in Champions, storia di un campione che ha vinto (quasi) tutto

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Z izou ha sempre visto le cose un attimo prima. Quello spazio di pochi centimetri, il difensore fuori posto, un compagno libero o il portiere appena fuori dai pali quel tanto che basta. Questione d’istinto, quello che ti fa anche sopravvivere alla strada, alla “Castellane”, piena banlieue di Marsiglia nord: un informe mostro di palazzoni di cemento e strade tutte uguali dove il giovine Zinedine Zidane ha tirato i primi calci, demolito qualche anno fa per questioni di ordine pubblico. Una sorta di Scampia in salsa marsigliese in mano a bande di spacciatori che si fronteggiano a colpi di kalashnikov e uccidono per niente in una città già difficile di suo e da sempre. Quello che combatte con Michel “le roi” Platini per il titolo di più grande calciatore francese della storia è nato qui, padre e madre di origine berbera, della Cabilia, Algeria settentrionale: ha entrambe le cittadinanze e si definisce un musulmano non praticante. Zizou è tutto istinto, anche quando prova a programmare le cose. La finale dei Mondiali di Germania 2006 era l’ultima partita della sua straordinaria carriera, l’aveva ampiamente annunciato e voleva (poteva…) uscirne da trionfatore con la seconda Coppa del Mondo in 8 anni, ancora una volta idolo indiscusso dei francesi dopo la doppietta nel 3-0 al Brasile nel 1998. E invece l’ha fatto nel peggior modo possibile, con una testata a Materazzi in mondovisione, il cartellino rosso e l’uscita dall’Olympiastadion di Berlino a testa bassa, guardando con la coda dell’occhio quella coppa che non avrebbe potuto alzare.