L’Atalanta trova Kvaratskhelia, «prodotto tipico» del calcio georgiano. Talento e impegno (pure contro la legge filo-Putin)

storia. Il racconto di Dino Nikpalj

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L a nazionale sovietica ha sempre avuto due anime: quella ucraina, organizzata in modo quasi militare che raggiunge il top con la Dinamo Kiev del colonnello (per davvero…) Valerij Vasyl’ovyč Lobanovs’kyj, deportata in blocco ai Mondiali di Messico 1986, e quella georgiana, ovvero la fantasia al potere, sospesa tra giocoleria e atteggiamenti quasi picareschi. A saldare il tutto quella manciata di giocatori più propriamente russi, o meglio moscoviti, e soprattutto la nomenklatura di un partito che decideva il destino di tutto e tutti. Un giocatore come Khvicha Kvaratskhelia, stella di questo Napoli inarrestabile, non poteva che nascere in Georgia e tirare i primi calci in quella Dinamo Tbilisi che da quelle parti è religione. Come tutte le Dinamo era direttamente controllata dal ministero dell’Interno, ma quella georgiana aveva qualcosa di più: la seconda squadra in epoca sovietica a vincere una coppa internazionale (la Coppa Coppe) dopo la Dinamo ucraina. Partiamo proprio da quella squadra che nel 1981 conquista un trofeo nella finale con meno spettatori che la storia europea ricordi, 5.000 scarsi. L’epilogo di un torneo che vede arrivare in semifinale oltre ai georgiani anche i tedeschi dell’est del Carl Zeiss Jena (protagonisti di una clamorosa e sospetta rimonta al primo turno: 0-3 a Roma e 4-0 al di là del muro), il Benfica e il Feyenoord. Che messi insieme facevano comunque 3 Coppe dei Campioni e una Uefa, quindi sulla carta si andava verso una finalona tra portoghesi ed olandesi in quel di Dusseldorf. E pazienza che proprio il Benfica aveva mandato a casa ai quarti i padroni di casa del Fortuna che avrebbero garantito il pieno.