Lo sfogo di Caudano: «Io, atalantino, uscito dal coma col 3-3 col Torino. A voi sembra un incubo, per me è un sogno»

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U na domenica dopo un 3-3 subìto in rimonta nel pomeriggio del sabato, il professor Caudano l’ha già vissuta. Roba dell’autunno scorso. Lazio, stadio Olimpico. Due rigori contro. Contro il Torino, uno solo. La domenica è scura, di pioggia noiosa e fredda. Di compiti da correggere e verifiche da preparare. Di Margherita che scrive poco perché è (chissà con chi: magari da sola, magari no) ospite di un’amica a Sirolo. Ovvio che, ogni tanto, il buon Elvio si distragga. Un’occhiata alle partite in televisione, un giretto in rete, a sondare gli umori dei correligionari nerazzurri. Solo che lui è un osservante ortodosso, e le eterodossie gli garbano poco. La squadra, lui, tende a difenderla sempre. Anche quando perde male. Figurarsi quando pareggia. Invece, legge interventi anche scomposti. E, cosa che proprio non sopporta, di ingratitudine, verso società, giocatori e addirittura (addirittura per lui, Caudano, gasperiniano della prima ora e irriducibile) contro il tecnico. Gironzola fra siti e social e ne trova di tutti i colori. Molti più interventi che dopo le più grandi vittorie. “La gente”, pensa, “preferisce sentenziare sulle difficoltà che gioie dei successi”. Chi dopo la rimonta patita contro i granata parla di “vergogna”, chi sospetta imborghesimento, chi dice che i giocatori nerazzurri non hanno più fame né di punti né di gloria, chi azzarda il sacrilegio e adombra la soluzione estrema: sostituire l’allenatore “prima che sia troppo tardi”.