L’Olimpico, la Lazio, e quel che la «vecchia guardia» dell’Atalanta non può dimenticare. Lo scritto di Ombra

storia. Quell’indimenticabile finale di Coppa Italia

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D ejan Stanković, nella conferenza stampa di presentazione da allenatore della Sampdoria, non è andato per il sottile. Non lo ha fatto per indole e perché, in un momento come quello blucerchiato, fare lunghi giri di parole farebbe perdere tempo quando tempo non ce n’è. Alla domanda su una possibile e miracolosa salvezza, il serbo ha sentenziato laconicamente. Sette parole, non una di più non una di meno. “Chi non sa soffrire non sa gioire”. Prossima domanda. È pensiero comune tra gli studiosi di psicologia che uno dei metodi migliori per continuare ad andare avanti per migliorare non necessariamente nell’immediato ma per ottenere benefici sino all’orizzonte sia quello di mostrare le proprie vulnerabilità. Presentarsi disarmati di fronte ai propri fantasmi per essere pronti, tra un giorno un mese un anno o chissà, a catturarli con l’aspirapolvere. Dire che l’Atalanta andrà all’Olimpico ad affrontare la Lazio senza timori o pensieri sarebbe sbagliato. Anche ingiusto, tutto sommato. I nerazzurri dovranno convivere con la paura per ciò che quella squadra, quello stadio, quelle luci inevitabilmente evocheranno. Chi era all’Olimpico quel 15 maggio sa.