Meteore/1 Gli atalantini che «non ce l’hanno fatta». Ecco la storia di Parra, giramondo del (quasi) gol

storia. Il racconto di Massimiliano Bogni

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Con questo servizio comincia una serie di racconti sulle «meteore atalantine» dell’era Percassi: quei giocatori che non sono riusciti a esplodere, cavalcando l’onda dei successi nerazzurri di questi anni. Racconteremo, con la penna di Massimiliano Bogni, le loro gesta in nerazzurro e soprattutto... dove sono andati a finire. Cominciamo con Facundo Parra.

“U na locura!”. Non parla ancora la lingua ma stavolta non c’è bisogno di tradurre dallo spagnolo per far capire a Facundo Parra cosa significhi avere a che fare con la passione atalantina. Pazzo e irrazionale amore per i colori nerazzurri: non serve parlare italiano o bergamasco per capirlo, lo si percepisce. La prima parola nella prima intervista ufficiale da giocatore dell’Atalanta di Facundo Parra è questa: follia. Gli avevano detto sarebbe stata una cosa da 5 minuti, un rapido saluto alla tifoseria ancor prima che la firma sul contratto venisse apposta da entrambe le parti. Una breve apparizione alla Festa della Dea prima di passare una settimana a mettersi in pari di condizione col resto del gruppo, con sedute e ripetute personalizzate in quel di Rovetta. Invece, forse per sostituire Luca Percassi o un Pierpaolo Marino sofferente di vertigini, è toccato a lui accompagnare il presidente sulla mongolfiera legata coi tiranti al parcheggio dell’OrioCenter. Sono le 23 circa del 18 luglio 2012 e Facundo Parra atterra, letteralmente, sul pianeta Atalanta, ancora tutto da scoprire ma che rimarrà per sempre un territorio inesplorato.

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Sul palco l’argentino non dirà una parola, limitandosi a ricevere l’entusiasmo smodato dei 15000 festaioli e la carica di Antonio Percassi. “È arrivato un giocatore importante. Lo seguivamo da mesi grazie a Marino, è riuscito a convincere il giocatore e il procuratore: è con noi Parrà!”. Già che il presidente pronunci male il cognome, mettendo l’accento sulla seconda e non sulla prima a, avrebbe dovuto presagire qualcosa.

Ma al momento non ci si fa caso, nel microcosmo che era (e speriamo tutti possa tornare a essere) la Festa organizzata dal tifo atalantino non ci si fa nemmeno caso. C’è persino uno striscione con un “Voglia d’Europa” a caratteri cubitali che, a posteriori, fa sorridere se si pensa a quanto lontana fosse quell’Atalanta dal poter pensare di andarci per davvero. “Sta soffrendo il fuso orario, deve riposare. Diamogli tempo per inserirsi, punteremo su di lui senza caricarlo di grandi responsabilità. Conosciamo le difficoltà che i sudamericani possono incontrare all’inizio”: stavolta è il dg Pierpaolo Marino a mettere le mani avanti sul possibile lento adattamento di Facundo al campionato italiano. L’anno prima però il dirigente avellinese ci aveva preso, eccome, con l’arrivo di Germán Denis. Il Tanque, arrivato a bordo di un carroarmato, ha tenuto fede al nombre e alle aspettative. Se tanto gli dà tanto, cosa attendersi da uno che arriva in mongolfiera?