Meteore/3 Che fine ha fatto Rigoni? Dopo l’illusione all’Atalanta mille maglie. E ora (forse) ha trovato l’America

storia. L’approfondimento di Massimiliano Bogni

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A tletico ma non esplosivo. Per natura mancino ma altrettanto sicuro ed efficace col destro. Impiegabile al centro della trequarti ma con lo spunto nel breve per creare pericoli anche dall’esterno. Alto ma non dinoccolato, dal baricentro basso ma non in difetto nel confronto fisico coi difensori avversari. Con la tecnica di base e gli istinti del calcio di strada argentino ma l’adattabilità e l’intelligenza sufficienti per rendere il suo dribbling e la sua visione di gioco applicabile anche al massimo livello europeo.

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Tra un potenziale campione e la sua realizzazione effettiva tutti i “ma” devono trasformarsi in concreti “e”. altrimenti rimane tutto sulla carta, e dall’ipotetico prototipo del giocatore offensivo completo si passa al né carne né pesce che genera rimpianti e malinconia per ciò che sarebbe potuto essere. Emiliano Ariel Rigoni non lo è, ancora, stato. Se si cresce nel Belgrano e si è un eclettico trequartista, nell’Italia di fine anni ’10 i nomi a cui si viene inevitabilmente associati sono due: Javier Pastore e Franco Vasquez. El Flaco ed El Mudo, epitomi della stanca e compassata simbiosi che i rioplatensi instaurano con una sfera di cuoio rotolante, hanno alternato sprazzi degli “e” di cui sopra a mesi e partite di “ma”. Se dopo il settore giovanili e gli esordi in Primera Division con la squadra di Cordoba è l’Independiente ad assicurarsi il tuo cartellino per 1,55 milioni di euro e il 50% sulla futura rivendita, a Bergamo in particolare sono altri tre i riferimenti immediati: German Denis e Facundo Parra, antipodi dei modi in cui il sentimento pallonaro argentino può essere ricambiato o respinto, e Maxi Pellegrino, mister dei Reyes de Copas con un passato al centro della difesa bergamasca.