Samp-Atalanta 30 anni dopo lo scudetto. I gol di Vialli e Mancini, un po’ di Bergamo con Vierchowod, il sorriso di Boskov

storia.

Lettura 8 min.

T rent’anni fa, l’ultimo scudetto fuori dal coro. Dal triangolo Milano-Torino-Roma, l’ultimo lato presente quasi incidentalmente, va detto. La Sampdoria di Vialli&Mancini, con quel personaggio oltre il surreale di Vujadin Boskov in panchina e Paolo Mantovani alla presidenza: nomi che dalle parti della gradinata Sud non hanno mai smesso di rimpiangere, tanto più dalla gestione Ferrero in qua. Tempi duri quelli odierni per una delle curve più calde e passionali d’Italia, legata in passato anche da un gemellaggio a quella dell’Atalanta: il grosso continua a stare fuori sia in aperta contestazione alla proprietà che con le regole pre e post-Covid. Un monumento come Boso, al secolo Claudio Bosotin, già leader della Sud, parà e magazziniere della Samp, ha provato a muovere le acque annunciando il ritorno sui gradoni della vecchia guardia (over 60) con lui in testa, ma alla fine pare abbia dovuto fare un mezzo passo indietro per evitare strappi insanabili in una situazione già molto delicata di suo. Ma torniamo a 30 anni fa, a quella Sampdoria che nel giro di tre stagioni vince una Coppa delle Coppe, lo scudetto (il primo e unico della sua storia) e arriva in finale di Coppa Campioni a Wembley dove perde con il Barcellona. “Che ci vuoi fare? Sono passati ancora trent’anni e non mi va giù” confessa Roberto Mancini a Gianluca Vialli sulla terrazza di Carmine, ristorante di Quinto diventato il buen retiro dei blucerchiati in quel pazzo campionato. In realtà si chiama Piedigrotta, ma tutti lo chiamano con il nome del proprietario. “La bella stagione”, così s’intitola invece il libro che la premiata ditta Vialli&Mancini ha dato alle stampe la scorsa primavera per ricordare uno scudetto che è tutto tranne che incredibile: quella Samp era stata costruita pezzo a pezzo per vincere e la stagione 1990-91 altro non è che il coronamento di un percorso quasi naturale.