Storia del Napoli. Dalla Serie C al ritorno tra le grandi, con un sogno mai realizzato: ripartire da un vecchio amico, il Vava

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D all’Europa a Martina Franca. Che di suo sarebbe pure una cittadina davvero bella, un gioiello del barocco pugliese dove si mangia più che divinamente, ma in quella C1 stagione 2004/2005 è stato forse il punto calcisticamente più basso toccato dal Napoli. Cose che capitano nella storia di una squadra: si scende, si sale e talvolta si precipita negli inferi. Era il Napoli soccer, nato dalle ceneri del fallimento della gloriosa società sportiva calcio Napoli, quella di Maradona, Ferlaino, dei due scudetti e della Coppa Uefa, per capirci. Come categoria era al suo terzo campionato consecutivo di B, amministrativamente un colapasta: più buchi che soldi in cassa. E così il 30 luglio del 2004 il Tribunale non può fare altro che decretarne il fallimento mentre in città si scatena il putiferio. Il timore è fare la fine della Fiorentina, retrocessa in B nel 2002, fallita pochi mesi dopo e costretta a ripartire dalla C2 con la denominazione di Florentia Viola. Sorvolando sul fatto che dopo aver vinto a mani basse quel campionato si è ritrovata d’imperio in B la stagione dopo, scavalcando a piè pari la C1 per supposti meriti sportivi, il debutto dei viola in quel di San Giovanni Valdarno è ancora tra gli incubi più ricorrenti all’ombra della cupola del Brunelleschi. Alla fine però si decide che il nuovo Napoli riparta dalla C1 per questioni geopolitiche, peso sportivo che una semplice questione di sicurezza pubblica: portare i partenopei con il loro seguito di tifosi sui campi campani, siciliani, pugliesi o calabresi dove ogni domenica ci sono almeno due derby di paesi da 40mila abitanti in su è come buttare un cerino in una polveriera.