A d un certo punto di questa storia ad Amburgo hanno smesso di contare giorni, ore, minuti e secondi. L’avevano già fatto in verità il 12 maggio del 2018 quando l’orologio che segnava la permanenza ininterrotta della squadra in Bundesliga si è fermato a 54 anni, 261 giorni, zero ore e 46 minuti. Più 2 secondi, per la precisione. Tempo due anni e considerato che l’impresa della risalita si stava rivelando più ardua del previsto la dirigenza della squadra anseatica ha deciso che era arrivato il tempo di togliere per sempre l’orologio dal Volksparkstadion, nome che rimanda al mitico derby tra le due Germanie ai Mondiali del 1974 vinto 1-0 dalla Ddr. Quello stadio in realtà è stato raso al suolo, ricostruito e ruotato di 90 gradi rispetto all’originale, ma di fatto è sempre lì, a nord di Altona, molto più distante dal centro di quanto non lo sia quello degli arcirivali del St.Pauli. Ma ci torneremo più e più volte. Ecco, il ritorno. Dopo l’inopinata retrocessione del 2018, preceduta a dire il vero da campionati da bassa classifica e salvezze conquistate solo agli spareggi con la terza classificata dei cadetti, in Germania tutti avrebbero scommesso su una rapida risalita dei “Dinosauri”, nomignolo frutto del fatto che l’Amburgo, fondato nel 1887, è la seconda squadra più vecchia del Paese, preceduta solo da quel Monaco 1860 che ha nel nome la data di nascita. E invece dopo 55 campionati ininterrotti in Bundesliga (in sostanza dalla prima edizione del 1963-64) ne sono serviti ben 6 per tornare a rivedere le stelle. E soprattutto a riagganciare l’odiato St.Pauli che nella massima serie ci è tornato la stagione prima e che di anno in anno è diventato un’icona del calcio antagonista, forte della sua collocazione nel quartiere più alternativo e complicato della città e anche di una strategia di marketing alternativa nella concezione ma quasi industriale nell’applicazione.