«This is Anfield». Atalanta, benvenuta nel monumento del calcio inglese. Le foto degli stadi che ospitarono i nerazzurri

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T his is Anfield, e al di là c’è solo il verde di un prato sempre perfetto e gli spalti che ribollono d’entusiasmo. Questo è Anfield (non road, quella è la strada dietro il settore ospiti), c’è scritto nel cartello sopra gli ultimi metri del passaggio tra le tribune che conduce al campo: l’ha fatto mettere il grande Bill Shankly, colui che ha costruito la rinascita del Liverpool a metà anni ’60 e la dimensione internazionale del decennio successivo, per intimorire gli avversari e non solo. Gli stessi giocatori di casa lo possono toccare prima di entrare in campo solamente se hanno vinto un trofeo con i Reds. Anfield non è solo uno stadio, ma un monumento al calcio e soprattutto ad un certo modo di viverlo che a Liverpool è ancora più particolare che nel resto d’Inghilterra. E’ popolo, fish and chips, le terribili meat pie dalle varie fattezze, fritti dalla dubbia provenienza igienica, i banchetti con i programmi e quelli con i gadget che fanno da contraltare al (mostruoso) shop ufficiale davanti alla Kop: forse la gradinata più famosa del mondo, di certo la più leggendaria. Dopo il restyling un filo asettico del 1994 la sua capienza è scesa a 12.500 persone tutte a sedere, ma quando la sola regola era l’assenza di regole ne ospitava fino a 28mila. In piedi, stipate e impossibilitate a muoversi: quando il Liverpool segnava l’effetto onda era semplicemente micidiale, si narra che la Kop fosse in grado di spingere la palla in rete solo urlando. guardate due filmati e ve ne convincerete: quello in bianco e nero dove canta ad una sola voce “She loves you” dei Beatles, l’altra gloria locale, e quello recentissimo che celebra la scomparsa di Ray Clemence, indimenticabile portiere dei Reds, ripreso al suo ritorno sotto la curva di casa con la maglia del Tottenham.