Tra Atalanta e Lazio c’è... il biondino Agostinelli. Storia di un talento che sbagliava mille gol, tranne uno

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I l popolo laziale l’aveva scelto come erede del povero Luciano Re Cecconi, centrocampista centopolmoni della Lazio scudettata di Tommaso Maestrelli. Un ambientino poco raccomandabile, altro che la Crazy Gang del Wimbledon: spogliatoio diviso in clan, gente che andava in giro con la pistola, risse fuori ma in campo tutti uniti. E a correre su e giù c’è questo centrocampista della provincia milanese che Maestrelli si è voluto portare da Foggia. Biondo chiarissimo, un tedesco mancato che a qualcuno ricordava Netzer, protagonista assoluto della seconda metà degli anni ’70 finito ammazzato in una gioielleria a Roma: voleva fare uno scherzo all’amico titolare simulando una rapina e quello gli spara un colpo di pistola uccidendolo sul posto. Una morte assurda (ma purtroppo quasi normale in quegli anni di follia) che l’ha consegnato al mito della lazialità. Anche Andrea Agostinelli è biondo e gioca nella Lazio, caschetto sbarazzino, tanta corsa e una notevole capacità di dare il “la” all’azione: legatissimo a Re Cecconi ne eredita il ruolo da mezzala dopo la sua morte. I tifosi biancazzurri sono convinti che farà grandi cose, mister Luis Vinicio pure: prima lo lancia nella massima serie e quando nel 1979 se ne va al Napoli lo porta con sé. Potrebbe essere la stagione del definitivo salto di qualità, ma il giocatore (nel frattempo entrato stabilmente nel giro delle Under) delude: solo 9 presenze e alla fine i partenopei lo rimandano nella Capitale. Nel frattempo la Lazio retrocede in B, travolta dal calcioscommesse: il biondo centrocampista ha mercato e finisce alla Pistoiese, fresca di promozione e alla sua prima (escludendo la divisione nazionale di fine anni ’20) stagione di serie A. Resterà l’unica nella storia dei toscani.