Tra Atalanta e Napoli vola un elicottero: Roberto Bordin, che tornò da ex dopo la malattia. Poi mille avventure nel mondo

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C i sono vite in viaggio, fin dai primi giorni. E se nasci in quel di Zawiya, Libia, ma sei italiano sai già da subito che la tua sarà con la valigia in mano, quasi un destino. E allora te ne vai di corsa sempre, anche su quella fascia destra a macinare chilometri su chilometri, al punto che i tuoi compagni di squadra ti chiamano Gelindo e non Roberto. Gelindo, come quel maratoneta medaglia d’oro a Seul 1988 che ha il tuo stesso cognome: Bordin. Avanti di corsa, senza fermarsi e a volte pure controvento: come quando in quell’estate del 1996 da capitano del Napoli al raduno precampionato prendi il microfono e scandisci poche parole. Terribili. “Scusate, volevo comunicarvi che non partirò con la squadra per il ritiro. Credo di poter salire con un po’ di ritardo, sapete… Ho un problema… che il dottore vi spiegherà meglio, mi dovrò operare. Mi auguro di recuperare in fretta, di risolvere questo problema”. Che ha un nome, neoplasia alla tiroide. Un tumore, da operare prima di subito. E’ il 12 luglio del 1996: il 3 novembre Bordin torna in panchina nel pareggio esterno 1-1 a Torino con la Juventus e titolare nel 2-2 del 1° dicembre a Bergamo, da dove se n’era andato nell’estate 1993 per seguire il suo mentore Marcello Lippi a Napoli. Entra in campo con la sua fascia da capitano e il pubblico gli tributa un grande applauso: “All’inizio ero emozionato, poi più passavano i minuti più la gioia aumentava. Ad un certo punto ho capito che la brutta parentesi era definitivamente passata. Chi l’avrebbe mai detto? Sono tornato a giocare una partita vera fin dal primo minuto e ho ripreso la fascia da capitano” racconta nel dopopartita.