Una coltellata ha scosso la settimana atalantina. Il prof Caudano e il suo pensiero sulle «parole perdute»

storia. Il nuovo racconto di Stefano Corsi

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L unedì mattina, il professor Caudano prima di scendere al bar per colazione naviga in internet alla ricerca dei riflessi della domenica calcistica. Ma questa volta poco gli importa delle quattro reti di Monza, del pareggio di Freuler contro la Juventus o della lotta salvezza. L’occhio si posa dove il dente duole: sul viso buono e timido di Riccardo Claris, sulla sua biografia che rimbalza da un sito all’altro, sulla sua morte inconcepibile. Il mite Elvio legge sconcertato. I suoi trascorsi bergamaschi, benché lontani, gli consentono di ricostruire gli scenari. San Giovanni Bianco lo ricorda, per lui è un ponte sopra il Brembo incassato. Ci andò una domenica di licenza, per salire poi a piedi a Cornello dei Tasso: era giovane, meno pingue di ora e reduce recente dai suoi studi universitari, che sul poeta della Gerusalemme liberata avevano compreso un corso monografico non facile, relativo alla ricostruzione del testo autentico del poema. Anche Borgo Santa Caterina gli è noto, e caro. Un passo dalla Caserma Montelungo, una digressione nell’avvicinamento allo stadio, un bel contesto dove fermarsi a bere qualcosa dopo le partite. Perfino il reticolo di vie dietro la Curva Sud, lo conosce. Dove Riccardo è caduto. Quei condomini anni Sessanta di cui lui ha sempre invidiato gli inquilini, perché possono andare all’Atalanta con il minimo sforzo.