Placido: «Vallanzasca un criminale
ma aveva etica. E sta pagando»

E arrivò il giorno tanto temuto di Vallanzasca. Anticipato dalla lettera dei parenti delle vittime del bandito e dalla stigmatizzazione dell'ex prefetto Serra, ecco Vallanzasca-Gli angeli del male, prodotto da 20th Century Fox Italia e Twenty-Firtst Century Fox Italy, Babe Films e Mandragola Movies e in sala dal 17 dicembre.

«Ci tengo a ringraziare la Fox - sottolinea il regista Michele Placido - per il coraggio e la disponibilità con cui ha deciso di produrre un'opera che né RaiCinema né Medusa hanno voluto». Una conferenza stampa veneziana tranquilla, che ha avuto solo pochi momenti polemici, tra cui il ricordo delle discussioni intorno al film.

«Dal dopoguerra in poi, Vallanzasca è sempre stato il pericolo pubblico n°1. Certo che ha le sue colpe e il mio film non è affatto assolutorio, ma sta pagando per questo, cosa che nel nostro paese è rara. Non facciamo finta che qui da noi non ci siano state le stragi di mafia o il terrorismo rosso e nero e che alcuni che stanno ora in Parlamento han fatto anche peggio di Vallanzasca, ed è un dato di fatto assoluto».

Non ci va leggero, il cineasta, pur non negando il suo rispetto per chi ha sofferto a causa dei reati di Renato Vallanzasca: «Non dimenticate che sono un vero italiano, che è stato in un collegio di preti ed è stato poliziotto, lo dico anche con una certa ironia verso la nostra educazione molto cattolica e garantista. E ho rispetto per le vittime, per questo ebbi qualche remora all'inizio a intraprendere quest'avventura. Poi Kim Rossi Stuart, che voleva tanto questo personaggio (e che partecipa alla sceneggiatura- ndr), e da attore lo capisco bene, mi ha affiancato e abbiamo fatto insieme, con onestà e distanza, questo viaggio».

«Negli anni '70 quest'uomo è stato un mito, anche per colpa e merito dei media, che poi l'hanno abbandonato. Lui aveva una simpatia e una leggerezza comportamentale che spiazza tutt'ora, ti seduce con la sua parlantina e il fascino, è un mistero, e il film è tutto lì, cerca di cogliere quel passaggio. Poi se si crede ancora a Lombroso...».

E il protagonista dice la sua, dopo una prestazione straordinaria, che sovrasta le pur ottime di Moritz Bleibtreu, Paz Vega, Francesco Scianna e un eccellente Filippo Timi. «Ieri Michele mi citava Brecht e il suo "mi sono seduto dalla parte del torto, perché tutti gli altri posti erano occupati". Trovo che descriva benissimo il film e l'uomo. Mi è piaciuta questa persona, perché tutto si può dire di lui, fuorché che sia furbo».

«Giusto trovare tutte le sfaccettature - prosegue Rossi Stuart- e metterlo anche sulla graticola, capisco i parenti delle vittime e la loro sofferenza e dolore, però il cinema e la letteratura necessariamente si devono occupare anche di queste cose (non a caso Placido gli mette in mano, nel film, "A sangue freddo" di Truman Capote, citato anche nel cartello iniziale, ndr). Per il dialetto milanese (perfetto, ndr) il lavoro è stato molto duro: un conto è il romanesco, che ho sempre avuto accanto a me, ma per il milanese ho avuto un dialogue coach, Sabet, un bravo insegnante di teatro».

A chi, con fare un po' moralista, pone a Placido la domanda sul perché fare un film su un criminale e non su un artista, il regista risponde sferzante. «Ho fatto Falcone, Padre Pio, il Papa, avete visto Un eroe borghese? Perchè fare a me questa domanda? Ho voluto conoscere, con il mio cinema, il bene e il male. Che c'è in tutti, anche in me».

E proprio per questo «non abbiamo voluto essere in concorso, per togliere un altro motivo di "polemica" ai soliti benpensanti». Rossi Stuart rivela anche la frequentazione con l'illustre detenuto, necessaria alla costruzione del personaggio: «Ho incontrato Vallanzasca più volte, e ho potuto toccare con mano quelle atmosfere incredibili, surreali che quest'uomo ha vissuto. C'era un libro, il suo, su cui lavorare, e gli stimoli erano tantissimi, dovevo fare cernita su cosa far passare».

Chiude Placido, ancora in difesa di Vallanzasca, della sua "etica" e della sua capacità di pagare di persona. «Renato nasce criminale, lo confessa da subito. Ma aveva un'etica: per non tradire certi aspetti incomprensibili per noi persone per bene, si è assunto la responsabilità di tutti i delitti della sua banda, davanti ai giudici. Non si è arricchito, non ha una lira in banca, non ha mai sparato su persone inermi, e poi per sei mesi di follia è precipitato in un baratro. Siamo al Nord, ci piacciono Svezia, Olanda,... perché non abbiamo la loro pietas?».

«Quarant'anni di galera non bastano? Vallanzasca non va perdonato, ma compreso. Antonella, la moglie, sta provando, dolorosamente, a farlo uscire. Renato sa resistere, ha una sua etica, vuole rimanere là a pagare. Certo, gli piacerebbe che la società capisse, che quella era una stagione in cui, parole sue "buttai con la mia gioventù, la mia vita"».

«Il suo ultimo omicidio me l'ha confessato a pochi giorni dal set: uccidere un pentito, per uno come lui, allora era un dovere. Vallanzasca è uno che non nasconde quella macchia, è uno di un certo tipo. Ma non è un angelo, è un criminale. Non vogliamo assolverlo, ma vedere il male, e lui si mette a nudo in questa Via Crucis».

Sul rifiuto di mafia e politica di Vallanzasca e sul mancato approfondimento in proposito del film, forse è Placido a pentirsi. «Tre minuti in più sulla mancanza di legami con l'eversione politica e la mafia di Vallanzasca forse servivano. E probabilmente per questo viene isolato, e per questo viene ucciso pure Francis Turatello. Un'organizzazione come la mafia, voleva arricchimento con attentati, bombe, vittime innocenti... e Renato non voleva tutto questo. Non l'abbiamo messo, perché si doveva aprire un altro film e per questioni produttive. Ma recupereremo tutto in dvd».

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