«Dal Brasile trasformo
la natura in un’opera d’arte»

«In Brasile la natura chiama in modo sfacciato, amplificato, più acuto, quasi violento». È da questo richiamo e «dal forte desiderio di documentarne l’incanto» che nasce la pittura botanica di Margherita Leoni: una ricerca continua dell’unione tra la massima espressione del gesto artistico e la precisione scientifica.

Terminati gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera Margherita, classe 1974, lascia Palazzago nel 1997 e arriva ad Alagoas, nel Nord-est del Brasile, dove trascorre sei mesi nella riserva naturale di una fondazione svizzera per dipingerne la vegetazione spontanea. «Ho sentito subito il fascino di questa natura che ti entra dentro e ti emoziona profondamente. Non solo per la sua bellezza, la natura italiana è altrettanto incantevole, ma è molto diversa perché ha toni più morbidi e dolci».

Poco dopo si trasferisce nella città di Americana, nello Stato di San Paolo, e lo fa per amore. Negli anni dell’Accademia incontra infatti lo scultore Luciano Mello Witkowski Pinto e dopo il matrimonio lo segue nella sua terra. Oggi hanno due figli, Leon di 8 anni e Iris di un anno e mezzo. Un lungo percorso di esperienza, ricerca e formazione in Brasile sempre con un legame stretto e vivo con la città di Bergamo.

«Il primo lavoro di pittura che è stato in mostra nel 2001 al Teatro Sociale l’ho svolto nel bellissimo orchidario dell’Università di San Paolo, dove ho seguito i corsi di botanica sistematica e di morfologia botanica. La conoscenza scientifica delle piante è fondamentale per raffigurarle al meglio. La specie poi si riconosce dalla morfologia esterna e le nozioni di botanica sono necessarie anche solo per scegliere quale ramo rappresentare tra tanti».

Nel 2008 le opere di Margherita Leoni sono di nuovo a Bergamo e la sala ParolaImmagine della Gamec diventa il «Paradiso Terrestre», con le pareti interamente rivestite da una foresta ingigantita che ha molto da raccontare e che deve essere per questo ascoltata. «Ho rappresentato un mondo che vediamo, ma che non percepiamo e spesso non rispettiamo – racconta –. Abbiamo bisogno di vederlo ampliato per capirne l’importanza e l’unicità, per fermarci e lasciarlo parlare, ascoltarlo per sentirlo più vicino, parte indispensabile della nostra vita presente».La sensibilità e il dialogo quasi sacrale con gli elementi della natura porta Margherita e la sua famiglia al Parque Nacional das Emas patrimonio naturale dell’umanità per le Nazioni Unite, nel Cerrado, la savana brasiliana dove un incendio aveva devastato il 90% della superficie della riserva.

«Il Cerrado brasiliano è poco conosciuto e per niente valorizzato. Siamo venuti a conoscenza dell’incendio dalle televisioni e abbiamo deciso subito di partire per documentare quello che stava accadendo coinvolgendo il film maker Ricardo Martensen. Siamo rimasti una settimana e il risultato è il video “Parque das Emas” nel quale, dopo aver trascorso un giorno a ritrarre un fiore appena sbocciato, alla fine ho dato fuoco alla tavola, per denunciare l’atteggiamento di totale noncuranza delle istituzioni di fronte a un tale disastro».

Finale per nulla apprezzato da Leon, il figlio maggiore che, a distanza di anni, ricorda ancora chiaramente il vuoto lasciato dalla tavola bruciata, costata alla sua mamma un giorno di fatiche sotto un sole tropicale. Ma dalla terra bruciata del Cerrado Margherita raccoglie le ceneri, i rami e le cortecce carbonizzate e nasce «Anima. Bellezza del paesaggio» la personale in mostra all’Antenna europea del Romanico ad Almenno San Bartolomeo nell’estate del 2013, con tavole realizzate con i carboni della savana brasiliana.

«È stato un passaggio importante, quasi catartico, che ha fatto emergere anche la mia indole positiva e ottimista e che mi ha fatto tornare poi all’origine come fonte di rinascita. Lì ho scelto di abbandonare il colore e di dedicarmi al disegno, allo studio del seme, alla mano che semina e all’immagine femminile della natura».

Dopo aver dipinto circa duecento specie di fiori, al centro della sua ricerca oggi c’è il nuovo equilibrio nel rapporto tra l’uomo e la natura attraverso la mitologia brasiliana che ha origine dalla cultura indios, unita a quella africana e portoghese. «Figure come il “Boitata” che protegge le foreste da chi le incendia, sputando fuoco proprio per allontanare chi attenta all’equilibrio naturale, o il mito del “Curupira” un essere dalla forma antropomorfa protettore degli animali che, con i piedi girati al contrario, confonde le sue orme per non far capire da che parte sta andando, sono esempi di una cultura mitologica ancora molto viva nella cultura indios e che va preservata».

Questo nuovo progetto sarà ospitato da fine novembre a gennaio 2016 in una mostra personale nella Galleria Vanna Casati di Bergamo e nel primo semestre del 2016 le sue tavole saranno esposte al Muse, il Museo di scienze naturali di Trento. «La verità è che mi sento estremamente italiana, anzi, bergamasca e probabilmente l’anno prossimo lasceremo il Brasile per tornare a vivere qui – conclude –: ho bisogno di tornare alle mie radici anche per poterle trasmetterle ai miei figli».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo». Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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