Eleonora, da Verdellino a Melbourne
sognando di diventare archeologa

di Elena Catalfamo

Eleonora Carminati, 28 anni, è ricercatrice da un anno e mezzo in Australia. Nel nostro Paese ci sono 240 siti e aree pronte per gli scavi ma per esercitare la professione è meglio il più giovane dei continenti.

In Italia ci sono 4.588 musei censiti dall’Istat e 240 aree e parchi archeologici: almeno una quarantina per ogni provincia del Belpaese. Abbastanza insomma per dare un bel po’ da fare a un nutrito gruppo di esperti, storici dell’arte, galleristi, umanisti in generale.

E invece poi ti capitano esperienze come quella di Eleonora Carminati, 28 anni, che da Verdellino per inseguire il suo sogno, diventare archeologa, ora studia e lavora a Melbourne, Australia, il più giovane dei continenti, ricco di canguri ma non certo di siti storici. Eppure è lì che ha ricevuto ben due borse di studio per proseguire la sua formazione professionale in università. Non in Italia.

«Dopo che ho terminato l’Università Ca’ Foscari a Venezia, facoltà di Studi umanistici (Scienze dell’antichità) – racconta via Skype in video chiamata dal suo ufficio all’Università di Melbourne, qui è mattina e là ormai sera – ho iniziato a lavorare in una cooperativa archeologica. Un’ottima opportunità e, come mi suggeriva il mio coordinatore, si sarebbe aperta in futuro la possibilità per me di realizzare qualcosa di mio, una mia impresa archeologica. Un bel progetto, ma mi sono detta che a 25 anni era un po’ presto per mettere nel cassetto i propri sogni, e così ci ho provato».

Perché il sogno di Eleonora è fare quello che fa: l’archeologa. E, per la verità, gli scavi di epoca romana e medioevale, di cui è ricca l’Italia, le interessano poco. «La mia palestra professionale sono stati gli scavi di epoca romana e medievale della provincia e del Nord e Centro Italia – ricorda – ma il mio sogno è sempre stato poter fare ricerche in Iraq o in Siria… Ero anche sulla strada giusta, con la mia tesi di laurea, poi la guerra ha distrutto tutto, anche i miei sogni oltre che Damasco e la sua gente».

L’interesse per il Medio Oriente è nato inseguendo i genitori appassionati di viaggi e grazie alla biblioteca di Osio Sotto. «Organizzava sempre dei viaggi in molti Paesi della Mezza Luna e con la mia famiglia non ce ne siamo persi uno. Sono Paesi ricchi di storia e di arte e io me ne sono innamorata: Iran, Turchia, Yemen…». Metti insieme la passione per i viaggi, per la storia dell’arte e per la storia in generale, e la scelta all’università, dopo il liceo classico «Sarpi» in Città Alta, è stata naturale. Eleonora ha iniziato a volgere lo sguardo a Oriente, a Venezia e alla facoltà di Archeologia della Ca’ Foscari. E poi non si è più fermata.

«È da lì che, per la prima volta, sono stata in Georgia – racconta – a 200 chilometri da Tbilisi, la capitale della repubblica dell’ex Unione Sovietica. Un campo di lavoro nel 2009 su un sito della prima età del bronzo realizzato grazie al sostegno (poco) dell’ateneo, ma anche da fondi americani e dal progetto nazionale di ricerca Prin». Un amore a prima vista per quella terra così ricca e dolente allo stesso tempo. «Il progetto e i finanziamenti – continua – sono finiti, e l’unico modo per proseguire è stato provare la strada della ricerca all’estero. Con alle spalle un Erasmus a Londra, ho iniziato a guardarmi intorno, cercando opportunità nei Paesi di lingua inglese. A differenza di molti miei coetanei non pensavo affatto all’Australia. Ma lì si è aperta una posizione per un dottorato di ricerca all’Università di Melbourne, la 27a nei ranking internazionali, per quanto può contare, e ci ho messo il cuore. Anche se, negli studi umanistici, è una guerra tra poveri».

Da un anno e mezzo (dall’agosto 2012) Eleonora si trova in Australia. Lavora in un team di soli australiani.

«Sono rientrata a gennaio per un breve periodo – spiega – e l’aereo era pieno di giovani italiani che stavano rientrando. Sono tantissimi i coetanei che decidono di avvalersi dei permessi di soggiorno di due anni per cercare lavoro qui o anche solo per fare un’esperienza. C’è un nutrito gruppo di bergamaschi a Sydney, anche se Melbourne è la città più europea del continente». L’Italia è conosciuta, non solo per Del Piero. «Anche se c’è un’idea legata ancora agli italiani di prima generazione che in realtà non rappresentano più l’Italia di oggi».

«Sono partita perché avvertivo un senso di soffocamento – dice –: se non avessi avvertito così forte questa sensazione, di una mentalità un po’ chiusa e della mancanza di opportunità, forse non l’avrei fatto. Sono felice, ho un lavoro, e un dottorato di ricerca fino al 2015, poi chissà che cosa mi riserverà il destino. Partire è importante, andare all’estero offre un’esperienza di vita molto forte, ma non bisogna pensare che sia una scelta facile. Ti mette molto in discussione, comprendi alcune cose della tua cultura. Qui frequento giovani di tutto il mondo e c’è uno scambio culturale molto ricco. Io ho vissuto e vivo con coinquilini di varie nazionalità per cui è una cosa che sperimento nella vita quotidiana. Per esempio in Australia non esiste il senso del sacro, come da noi. Sulla spiritualità mi trovo più in sintonia con i cinesi che non con gli australiani. È una cosa che non avrei mai notato stando a Bergamo».

«Da noi – continua – fare un’esperienza all’estero sembra un fatto eccezionale, quasi contro natura, costretti da condizioni di lavoro e mancanza di opportunità, ma all’estero la mobilità dei giovani è un fatto naturale. Spostarsi in un altro Paese per proseguire gli studi dopo le superiori o l’università è una consuetudine».

Eleonora ora è pronta per partire a metà giugno per la Georgia per riprendere gli scavi, questa volta a Sud Ovest della capitale, al confine con la Turchia e si fermerà poi a Tbilisi al Museo nazionale di archeologia (Georgian National Museum) per portare a termine la sua formazione.

«Ogni volta che rientro in Italia – spiega – vorrei mettere in valigia i canguri. Non posso ma cerco di trasmettere, nel mio piccolo, ai miei amici, la mia esperienza, perché penso che questo possa servire. Si parte per sé, per imparare, per cercare nuove opportunità, ma con la voglia poi di restituire sul proprio territorio il proprio bagaglio. Chissà che anche questo non contribuisca a un reale cambio di mentalità».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della Comunità Bergamasca. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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