Quando Montini incontrava
Roncalli a Sotto il Monte

Uno dei momenti forti del viaggio bresciano di Benedetto XVI saranno la visita all'Istituto Paolo VI – il principale centro di elaborazione e di diffusione della memoria e della storia di Papa Montini – e alla grande casa avita di origine quattrocentesca, immersa nel verde di Concesio, acquistata dalla famiglia Montini nel 1863 e donata nel 1997 all'Istituto dall'ingegner Vittorio, cugino del Papa. Giovan Battista nacque tra queste spesse mura e nei prati intorno si rincorreva coi suoi fratelli. Sempre qui, da ragazzo, trascorse numerosi periodi di malattia, leggendo, studiando e preparandosi da privatista agli esami. «Tra i lasciti dell'Istituto c'è anche la sua biblioteca privata», spiega la ricercatrice Giselda Adornato, tra i maggiori studiosi e consultore storico della causa di beatificazione del Papa bresciano, che sarà ospite in qualità di commentatrice nella diretta su RaiUno della Messa di Benedetto XVI.

Dottoressa Adornato, qual era il rapporto tra Giovan Battista Montini e i suoi libri? «Per capire la natura di questo rapporto basta pensare al fatto che non se ne è mai separato. Se li portò dietro anche quando venne ordinato arcivescovo di Milano. Per trasportare queste 50 casse di libri affittò una serie di vagoni ferroviari: ci sono ancora le ricevute delle Ferrovie dello Stato, custodite in archivio diocesano». Che tipo di biblioteca era, quella di Montini? «Una biblioteca un po' eterodossa rispetto all'epoca e al bagaglio classico di un sacerdote di allora. Avendo frequentato da esterno il seminario, aveva una cultura vastissima e svariata, che ad esempio comprendeva i volumi di Romano Guardini e Carl Adam, ai tempi nuovissime stelle della galassia teologica».

Tutti volumi di ambito teologico e pastorale? «Assolutamente no, ci sono anche Chesterton, Pascal, Etienne Gilson, ma anche tantissima letteratura classica, da Dostoevskij a Tolstoj, da Bernanos a Baudelaire. Se li portò tutti anche in Vaticano quando divenne Papa. I suoi libri li amava, ma li maltrattava molto, se così si può dire, li postillava e li riempiva di annotazioni. È molto interessante leggere le sue note».

C'è stato un libro che ha amato particolarmente? «Negli anni '30 aveva tradotto "Tre riformatori" di Jacques Maritain per la Morcelliana, dedicato alle figure di Lutero, Cartesio e Rousseau. Quello era davvero il suo. Del resto, come è noto, l'autore di "Umanesimo integrale" era sua passione. Anche se poi ha dovuto tenerla un po' celata per via dei problemi dell'autore francese con il Sant'Uffizio. Montini, arcivescovo di Milano, lo citò durante un discorso al Congresso per l'apostolato dei laici. E Maritain gli scrisse una lettera per ringraziarlo. Ma poi Montini dovette toglierlo dalla pubblicazione ufficiale del discorso. Vi sono poi i "Pensées" di Pascal».

Cosa apprezzava dei bresciani? «La loro grande fede capace di tradursi in opere, in apostolato di carità. Il Papa è grato a voi di essere bresciano, diceva sempre. Amava il loro codice genetico, loro cultura messa al servizio della Chiesa, direi in difesa della Chiesa, unita alla spiritualità di quel San Filippo Neri che dava il nome all'"oratorio della pace" in cui era cresciuto». Il piccolo e gracile Giovan Battista aveva frequentato l'oratorio? «Altro che. Non solo, ma gli educatori di quell'oratorio, come padre Bevilacqua e padre Caresana, gli furono sempre vicini, anche durante l'apostolato da Papa. Bevilacqua venne da lui nominato cardinale. Caresana rimase per lunghi anni il suo confessore. Il Papa è grato a voi di esser bresciano».

Qual era il rapporto tra Montini e il suo predecessore, Papa Giovanni XXIII? «Quando Montini venne eletto Papa scrisse un appunto conservato negli archivi: mi si vuole paragonare a Papa Giovanni, lui che era così buono, ma io non sono degno di questo paragone. Però, aggiunge, mi sembra, nella mia pochezza, di seguire le sue orme. Se con Pio XII c'era un rapporto di venerazione (quando riceveva una telefonata da una stanza all'altra, nel palazzo apostolico, l'allora sostituto alla Segreteria di Stato si alzava in piedi), con Angelo Roncalli c'era un rapporto di amicizia. Un rapporto molto forte».

Il legame si indebolì ai tempi in cui erano l'uno arcivescovo di Milano e l'altro Patriarca di Venezia? «Per nulla. Rimase fortissimo. Montini non partecipò al conclave del '58 che elesse Roncalli perché non era ancora cardinale. L'allora Patriarca, prima di entrare nella cappella Sistina in cui erano radunati i porporati, gli scrive una lettera dicendo che dovrebbe essere lui lì in conclave. Appena eletto Papa uno dei primi gesti fu quello di convocare il concistoro e il primo dei cardinali eletti fu proprio Montini. Glielo scrive pure: "Eccellenza, ho intenzione di fare il concistoro e lei sarà tra i primi". Avevano caratteri diversi ma c'era una stima reciproca enorme, si consigliavano l'uno con l'altro. Quando Montini andava in vacanza a Camaldoli di Guissago, vicino Brescia, passava da Sotto il Monte per incontrare Roncalli, che si trovava anche lui in villeggiatura lì. Grande amicizia, grande confidenza. Montini rivendica la linea di Papa Giovanni. Tanto è vero che ha subito riconvocato il Concilio».

È vero che Giovanni XXIII informò privatamente il cardinale di Milano Montini dell'intenzione di indire il Concilio? «Si dice, ma di questo non c'è prova documentale. Però c'è un altro aneddoto significativo. Monsignor Enrico Manfredini, all'epoca assistente diocesano dell'Azione cattolica, ha raccontato che quando Montini seppe della notizia del Concilio chiamò il cardinale Bevilacqua esordendo con una battuta: "Ha visto che vespaio?" Aveva l'idea della complessità e della impreparazione della Chiesa ad affrontare un simile evento. E padre Bevilacqua gli rispose: lascia fare allo Spirito Santo».

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