Stazione di Bergamo, è notte:
sui treni il rifugio degli invisibili

Alla stazione di Bergamo è sui treni il rifugio degli invisibili. Sono un centinaio le persone che ogni notte vagano fra i convogli alla ricerca di un rifugio, di un po' di tepore per arrivare fino all'alba. La metà sono italiani: l'età è fra i 30 e i 50 anni.

Nel corridoio del vagone una chiazza di vino, il corpo scuro e longilineo dorme incastrato tra i due sedili. Le mani penzoloni e i piedi scalzi. Poco più avanti da una montagna di coperte sbucano due occhi spaventati. In un'altra carrozza si bivacca. Quando ci si accorge della «visita» improvvisa, c'è chi minaccia e urla, chi cerca di pettinarsi per darsi una parvenza, chi resta immobile rassegnato. Il vagone sa di stalla, è una zaffata che stordisce.

Odori che si mischiano, odore di un'umanità trascurata. Capita che ci siano sacchetti d'immondizia lasciati ovunque e bagni orinatoi con i cestini e i lavandini divelti; le tendine bruciate dalle sigarette. In poche ore tutto dovrà essere sbaraccato e ripulito, si riparte. Il pendolare, giustamente, vorrà (o meglio vorrebbe) la carrozza linda e profumata.

La città va a letto, dopo la frenesia dello shopping natalizio. In viale Papa Giovanni restano accese le luminarie, belle nel loro blu sfarzoso. In piazzale Marconi brilla l'albero. Qui, invece, c'è il buio, al limite ci sono i neon, che deformano i volti già stravolti dal sonno, spesso dall'alcol. Alle 0,50, con l'arrivo dell'ultimo treno da Milano, la stazione chiude. Ma sui binari brinati, dentro ai treni, ci si arriva lo stesso.


Ed è un universo parallelo, che di giorno si mischia con i bergamaschi che corrono, di notte trova casa sulle carrozze ferme. Dalle 40 alle 100 persone, spiegano gli addetti (ne contiamo una trentina nel nostro girone infernale di un'ora e mezza, su e giù dalle carrozze, dal capolinea fino a via Bono-David), si rifugiano sui 14 convogli, che a Bergamo finiscono la loro corsa.

Per ripararsi dal gelo (la colonnina segnalava -2) e approfittare di qualche ora di sonno: dalle 23 alle 6 se tutto va bene. Non solo stranieri. Il 50% è italiano: è l'amico, il vicino di casa o il parente, che si ritrova senza lavoro, poi senza casa, poi senza niente. E l'età giovane, tra i 30 (ma anche meno: dai controlli risulta che qualche giorno fa c'erano anche famiglie con minori) e i 50 anni.

I macchinisti e la security sanno, chiudono gli occhi, se possono danno una mano, augurano il buongiorno e la buonanotte, conoscono quasi tutti. La solidarietà scatta naturale quando ci si trova faccia a faccia con la disperazione. Anche se a volte servono le maniere forti, per sedare le risse, per calmare gli animi surriscaldati. «Qui è come una città nella città – spiega Igor, un quarantenne che da due mesi ha la sala-macchine come stanza – con le sue regole, le sue abitudini».

La spartizione dei binari: al 7 i tossici, al 4 i neri, al 5 i rom, «ma quelli arrivano solo nel periodo di Natale, perché sanno che se fanno l'elemosina la gente è più buona, poi se ne vanno». Chi non è «classificato» - come i disoccupati della crisi - va dove capita, «dormendo sempre con un occhio e un orecchio aperto, perché il rischio delle aggressioni è aumentato ultimamente. Non si sta più tanto tranquilli», racconta Igor. E anche i manutentori iniziano ad avere un po' paura nel fare gli interventi di emergenza. «A volte facciamo fatica a trovare una squadra disponibile a fare le pulizie», dice chi lavora in stazione.

Ci sono pure i «pendolari del sonno», restano sui treni e dormono a destinazione, oppure scelgono i treni in base alle trasferte. Come questo muratore albanese, dalle mani callose e il berretto calato sulle ciglia che dice: «Io sono costretto a dormire in treno, non dormo qui per piacere. Lavoro a cottimo, un giorno qui, un giorno là. Non mi basta per pagarmi l'albergo, il mangiare e mantenere la famiglia».

I treni sarebbero chiusi di notte, ma ci sono mille trucchi per salirci. «Quando mi sono ritrovato per strada – racconta un bergamasco – non sapevo neanche che sui treni si potesse dormire. Mi ha "iniziato" un marocchino, mi ha detto: vieni che ti faccio vedere come si aprono le porte».

Ma ci sono anche storie che restano a terra. Il transessuale alla pensilina che piange: «Mi trattano come un animale, sono pure diplomato». Il tossico raggomitolato che si buca sul binario. Il writer che approfitta del lampione per pitturare un Babbo Natale in versione porno sui finestrini. «Ci vorranno almeno 4 mila euro per ripulirlo», sostiene un operatore. È strano dare un prezzo, qui dove la vita sembra valere così poco.

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