Katia, guerriera contro i geni modificati
«Ho tolto i seni: contro il cancro vinco io»

«Certo che può farmi una foto, e anche mettere il mio nome. E quello delle mie sorelle. Vede, io ci ho pensato molto e voglio essere un aiuto per le donne che davanti al timore di un tumore al seno evitano anche di farsi una mammografia».

«Per paura. Io il tumore l’ho avuto, e ho chiesto di poter fare il test genetico. Sentivo che sarebbe risultato positivo: abbiamo una lunga storia in famiglia di morti per tumore. Ed è stato così: ho un gene modificato che aumenta il rischio di tumore al seno. Non ho esitato un secondo, dopo il risultato: toglietemi tutto, ho chiesto. L e mie due sorelle non solo mi appoggiano, ma faranno il test anche loro. Anzi una, lo ha già deciso, se il test sarà positivo si farà operare come me e, a tutti e due i seni: le hanno appena diagnosticato un nodulo maligno».

Katia Roda, 38 anni, origini bresciane, residente a Cividate, ha lo sguardo limpido e determinato (nella foto è al centro, con lei c’è Sara, a destra, e Maria Grazia): una pelle da bimba, sembra appena uscita da una seduta dall’estetista, tanto è splendente, e invece meno di 48 ore prima ha affrontato l’asportazione di entrambi i seni, e relativa ricostruzione.

«Angiolina Jolie? Guardi, io quando ho chiesto di fare il test neppure conoscevo la sua storia.Quando ho voluto andare a fondo sul male che mi ha preso 4 anni fa pensavo a mia madre: l’ho persa quando avevo soli 10 anni, e da quando sono nata fino alla sua morte l’ho vista sofferente, malata». Aveva un tumore al seno la mamma di Katia, e allo stesso modo sono morte anche altre due zie e una cugina della mamma.

E quattro anni fa, alla vigilia di Natale, è toccato a Katia ricevere una diagnosi spaventosa: cancro a una mammella. «Ho fatto 8 cicli di chemioterapia, poi l’intervento chirurgico con una quadrantectomia, e quindi 30 sedute di radioterapia. I controlli, nei mesi e negli anni successivi erano tranquillizzanti - racconta Katia - . Ma io quel tarlo non riuscivo a toglierlo dalla testa. E così ho chiesto di poter fare il test genetico. Il risultato ha parlato chiaro: il mio tumore è un tumore genetico. Dentro di me porto un’alterazione che mi aumenta il rischio di avere ancora il cancro al seno (l’alterazione genetica aumenta il rischio anche dell’80% ndr), nonostante la quadrantectomia, nonostante i trattamenti radio e chemioterapici».

Katia non s’è persa d’animo: racconta di avere accanto un uomo che la supporta, un figlio che la adora e che lei vuole vedere crescere, e le sorelle che sono per lei il sostegno di una vita. «Sono venuta qui, in Senologia, con le idee già chiare: io voglio vivere, tutto quello che posso fare per abbattere il rischio di ammalarmi ancora lo farò, ho detto subito al primario».

Privato Fenaroli, direttore dell’Unità di Senologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo spiega che, rispetto a qualche anno fa, quando il test genetico era a pagamento, oggi è rimborsato dal servizio sanitario, se prescritto da uno specialista, dopo una anamnesi accurata che lascia supporre un rischio genetico: «Il lavoro in stretta collaborazione con l’Oncologia medica ci ha permesso di delineare il profilo di Katia come una paziente candidabile all’analisi genetica e alla possibilità di una asportazione di entrambi i seni, con una tecnica di ricostruzione che è decisamente all’avanguardia, grazie all’apporto della nostra Chirurgia plastica. Va tenuto presente che il 90% dei tumori al seno sono sporadici, ovvero non se ne conosce l’origine, il 5% presenta una familiarità, mentre il restante 5% è di origine genetica. Questo vuol dire che 1 donna su 10 che si ammala di cancro al seno ha il rischio di avere un tumore di origine genetica». È capitato a Katia; tra qualche giorno anche sua sorella, Sara, 46 anni, sposata, due figlie, saprà se anche lei ha una mutazione genetica. Sara ha saputo di avere un nodulo al seno pochi giorni prima che Katia entrasse al Papa Giovanni per l’asportazione di entrambi i seni.

«Ho sottoposto il mio caso al primario e per la metà di maggio verrò sottoposta anch’io al test genetico. E con me, vista l’alta familiarità di tumori che abbiamo in famiglia, lo farà anche mia sorella, Maria Grazia, 44 anni, che per fortuna, fino a oggi è sana come un pesce -, spiega Sara -. Noi sorelle siamo una squadra, ci sosteniamo a vicenda l’una con l’altra. E davvero, non abbiamo paura. Abbiamo voglia di vivere: io ho due figlie, voglio vederle crescere. Se il test sarà positivo (potrebbe non esserlo, non tutti i fratelli sono portatori della stessa mutazione genetica, c’è una probabilità del 50% ndr), mi farò togliere entrambi seni anch’io».

E Maria Grazia, sposata, un figlio, dicono le due sorelle, la pensa allo stesso modo. «Davanti a un test negativo o dubbio si procede con una attività di prevenzione - spiega Fenaroli -: fatta di controlli serrati. La stessa strada che si prospetta anche a chi invece ha il test positivo, cioè sa di essere portatore di un gene modificato che aumenta il rischio di cancro. Si può fare l’asportazione dei seni, ma si può scegliere di essere controllati ogni 6 mesi, alternando ecografia, mammografia e visita anche con la risonanza. Va ricordato che un test positivo spesso, a ulteriori indagini, aumenta anche il rischio di cancro alle ovaie. E in caso di età matura e di gravidanze già affrontate noi consigliamo l’asportazione». Lo farà anche Katia, nei prossimi mesi: «La scienza ci aiuta a sapere come siamo fatti, quali rischi corriamo. So che non sto facendo delle passeggiate, ma altrettanto bene so che è giusto così: per i figli e per i compagni che ci sono vicini, abbiamo il dovere di impegnarci per vivere».

Carmen Tancredi

© RIPRODUZIONE RISERVATA