Longuelo, parte il restauro
della chiesa di Pizzigoni

Nei prossimi giorni si aprirà il cantiere per restituire il volto alla chiesa dedicata alla Beata Vergine Immacolata, deteriorato dalle intemperie.

Il restauro terminerà entro il 29 giugno del 2016 in tempo per celebrare, alla presenza del vescovo Francesco Beschi, il cinquantesimo anniversario dalla consacrazione della chiesa. Disegnata dal bergamasco Giuseppe (Pino) Pizzigoni, la chiesa è stata realizzata tra il 1961 e il 1966 con un gioco di parabole e curve in cemento armato: materiale povero per un concetto profondo che, a quasi mezzo secolo dalla chiusura dei lavori, necessita di essere ripristinato. Lavori per un valore di 520 mila euro, sostenuti in parte dall’attività della Commissione economica della parrocchia: finora la comunità ha raccolto 40 mila euro.

La realizzazione della chiesa – un’opera di rottura rispetto alla tradizione architettonica del momento – negli anni 60 suscitò accese un forte dibattito. Ecco cosa scriveva in proposito il direttore de L’Eco di Bergamo, monsignor Andrea Spada, in un editoriale del 25 giugno 1966 dal titolo «L’Inno di cemento armato della nuova chiesa di Longuelo».

«Mercoledì verrà consacrata la nuova chiesa di Longuelo – scriveva monsignor Spada – che è al centro di discussioni e di pareri diametralmente opposti da parte di chi l’ha vista. Qualcuno ride e fa dell’ironia, altri si indigna, c’è chi la giudica semplicemente ardita e coraggiosa, vi sono persone a cui piace, specie nel ceto intellettuale, o magari piace l’interno e non l’esterno, o viceversa. Il fatto è che, quando si parla di una chiesa, un giudizio diventa subito assai complesso e con molte facciate nessuna delle quali può essere dimenticata, sempre che una chiesa voglia essere chiesa soprattutto e innanzitutto, e non pura esercitazione architettonica».

«Una chiesa è certamente edificio pubblico, opera di architettura, luogo di riunione di una comunità, scuola, aula, ma è prima di tutto casa di Dio e casa dell’uomo, luogo sacro per il culto, “casa di preghiera” secondo la precisa definizione data da Gesù stesso: “La mia casa è casa di preghiera”. Può essere bella fin che si vuole architettonicamente e pienamente funzionale, ma essere al tempo stesso del tutto sbagliata se non aiuta alla preghiera e al senso della presenza di Dio, se deprime l’anima con il peso incombente della sua materia».

«Si può sempre dire che il giudizio ultimo e definitivo su una chiesa (parrocchiale, si noti) lo danno i sacerdoti e i fedeli che vi pregheranno, che si riuniranno ogni giorno d’inverno e d’estate sotto le sue immense vele di grigio cemento armato, che toccherà a loro dire se in effetti la loro chiesa darà ad essi quella gioia, quella serenità spirituale, quella pace di pensieri, quell’elevazione di animo che l’uomo moderno cerca disperatamente almeno in una chiesa. Dipenderà dal loro grado di essere le “pietre vive e scelte” cioè la vera chiesa delle anime che può vivificare tutto, anche il cemento armato».

«Ma è certo che anche una chiesa non appartiene solo a loro; ogni chiesa è una tenda che Dio dissemina sulle strade dell’uomo che vi passa accanto, appartiene a tutto il cammino delle creature umane. Forse una chiesa potrebbe anche essere non indovinata per una comunità parrocchiale, ma nobile in se stessa se sapesse almeno far pregare un viandante, accogliere per un attimo di grazia una creatura smarrita. È importante questo fatto: una chiesa ha bisogno di essere abitata da dentro e da fuori, non sappiamo forse ancora, nei nostri tempi, quando più fuori che dentro, se si pensa che le nostre città ed i nostri rioni non sentono più il suono di una campana nel loro trambusto affannoso e sono sempre più frastornate e lontane da un richiamo spirituale. Noi non abbiamo il Muezzin che grida una preghiera sulla città cinque volte al giorno. Del resto già gli artisti delle antiche cattedrali scolpivano catechismo e vangelo sui loro portali esterni. Oggi una chiesa ha il problema di fermare almeno una goccia del fiume, non basta più una piccola croce su un tetto, tanto per distinguerla da un garage, da o da uno stabilimento, o da una piscina, o da un auditorium. Non bastano più neppure le nicchie, soprattutto non è il materiale prezioso o meno che possa caratterizzare una chiesa».

«È questa una premessa necessaria per ricordare a quale difficile impresa si trovi davanti un architetto moderno quando disegna una chiesa. Non bastano più né la sua bravura, né il suo talento, né la perfezione della sua tecnica, qui è la sua anima religiosa che imbrocca o no il colpo d’ala. Soprattutto perché poi deve comunicare necessariamente agli altri: una chiesa non è un’opera astratta, un quadro che può restare in un incantevole angolo di sole dello studio dell’artista, anche se nessun altro lo vuole in casa. E non è neppure soltanto una “Mediation room” per alcuni spiriti privilegiati del Palazzo dell’Onu».

«Alla luce dunque di questa premessa, cosa si può dire della nuova chiesa di Longuelo? È bella architettonicamente? È funzionale? Come vi pregheranno? Come vi si troveranno i fedeli dentro? Che impressione fa a chi le passa vicino, fuori? Come è noto, essa si ispira ad un concetto ormai collaudato e non nuovo, quella della tenda, concetto biblico e sinceramente religioso. Dio pone la sua tenda tra gli uomini come viandanti, la sua tenda non il suo castello, la sua reggia. L’architetto Pizzigoni l’ha disegnata con assoluto realismo, senza alcuna attenuazione, a costo di qualsiasi arditezza tecnica, accettando anche di ricadere, all’esterno, in una specie di strano barocco, che è poi oggi quello che solleva il maggior contrasto nei giudizi. L’architetto ha voluto adagiarla sul bordo della strada con tutta la nuda violenza dei suoi motivi architettonici, come capace di bloccare l’attenzione di chi passa. E, se è questo, c’è indubbiamente riuscito. Quel groviglio tormentato e, ripetiamo, barocco di immense occhiaie vuote, di vele che si protendono come mostruosi padiglioni auricolari, possono prestarsi fin che si vuole alla facile ironia ed alle battute di spirito, ma indubbiamente nessuno può passare innanzi senza sentire uno choc. Anche l’esterno di questa chiesa parla senza dubbio, grida anzi, ha la sua possente voce, per cavernosa e aspra e dura che possa essere».

«L’interno appare invece assolutamente migliore, meno forzato, più armonico. Anche perché chi vi entra si aspettava di trovare chissà quale combinazione dietro al tormento della facciata. Invece, dentro, le vele si distendono solenni e calme, i pali si levano tranquilli come antiche colonne, la luce si diffonde gradevole dalle vetrate che non sono fine a se stesse. Certo, è una chiesa che è pura e gelosa struttura architettonica e che sarà estremamente difficile “decorare” (ne è prova una strana Madonna su graticcio, che è stata messa sull’abside e che non si sa come armonizzare, freccia gelata sul cemento armato)».

«Qui siamo nell’atmosfera completamente senza indulgenza del cemento armato. La sincerità è assoluta, bisogna darne atto, ma è anche incombente in tutta la sua aridità e freddezza. È difficile sottrarsi all’impressione di trovarsi in uno splendido monumentale bunker».

«Ed è da queste constatazioni che nasce la domanda che soprattutto conta in una chiesa: come vi pregherà la comunità? D’accordo, nessuno rimpiange la leziosa profusa lucidità dei marmi e delle cromature, in fondo anche il cemento armato può ritrovare l’umile schiettezza della pietra delle antiche basiliche, può essere anch’esso nobile nella sua povertà, ma gli manca troppo qualsiasi senso di letizia. Specie se il cemento è così recluso e spietato nel suo bozzolo. Lo accettiamo più facilmente se si attenua e si fonde in un ambiente esterno. È vero anche che una chiesa non deve troppo distrarre gli occhi e che è importante che l’attenzione della comunità si possa concentrare soltanto sull’altare, e sulla parola che si ascolta, e infine dentro se stessa. Ma l’uomo abita a qualche modo e fatalmente anche i muri della sua casa, anche quelli l’aiutano, lo dispongono, lo sollevano e lo deprimono. È abbastanza curioso notare che oggi, mentre l’architettura si preoccupa, negli stessi stabilimenti, di creare all’uomo un habitat più sollevante, più lieto, che lo distenda spiritualmente della sua pena e dalla sua fatica, noi creiamo delle chiese qualche volta angosciose o, come nel caso della chiesa di Longuelo, implacabilmente grigie».

«Chi avrà ragione qui? È difficile dirlo oggi. Può darsi che un giorno le nuove generazioni siano arcistufe di graziosi chalets, e di case di vetro, e di colonnine laccate, e di luci al neon e trovino invece maggior pace e distensione e raccoglimento sotto una immensa tenda color del fango ma genuina: può anche darsi che qui la preghiera possa essere più intima e il senso della comunità che si rifugia sotto la tenda di Dio più immediato e splendente. Anche i muri camminano con gli uomini, anche le case di Dio soprattutto se sono tende. Se accadrà dunque che il tempo imbruttisca ancor di più questi muri, come quelli dei tunnel, e faccia scorrere altra ruggine e tristezza sulle vele, ciò non vorrà dire che l’inno a Dio non possa domani levarsi felice e perfetto del cuore dell’uomo anche da questa grandiosa e aspra tastiera di cemento armato».

© RIPRODUZIONE RISERVATA