L'Italia? Un sondaggio della Cisl:
«Non è un Paese per fare figli»

L'Italia? «Non è un Paese per fare figli». È quello che emerge drammaticamente da un sondaggio Cisl Bergamo: oltre mille lavoratori  intervistati su welfare, servizi e organizzazione del lavoro. Servizi carenti e contratti troppo «maschilisti»

Che la percezione dell'indispensabilità del welfare nella trattativa sindacale e la sua assenza tra le disponibilità aziendali e territoriali sia più facilmente riscontrabile tra le donne che negli uomini è cosa risaputa. Da oggi è anche matematicamente provata, dallo studio che il dipartimento Politiche sociali della Cisl di Bergamo ha condotto su un campione di oltre mille lavoratori della provincia, che hanno risposto a un questionario predisposto in collaborazione con Daniela Milanesi del dipartimento Formazione, con l'intento di analizzare situazioni e aspettative, oltre che per formulare proposte che dovranno (“o dovrebbero” dicono i curatori) entrare di diritto a far parte delle rivendicazioni sindacali nelle trattative per la contrattazione di secondo livello.

È di pochi giorni fa la pubblicazione della ricerca della Cisl Lombardia, che denunciava l'abbandono di circa 4500 donne nel solo 2011 dopo la maternità, in assenza di “progetti più incisivi e capaci  di dare risposte alle famiglie e alle lavoratrici”, che da Bergamo si “risponde” segnalando come ai figli, non certo per la carriera ma solo per avere uno stipendio, si rinunci spesso e soprattutto controvoglia.

Non solo: infatti non sono pochi i lavoratori intervistati dalla Cisl a denunciare l'impossibilità di pensare a un futuro condiviso con un'altra persona e quindi a fare la figura del “bamboccione”.

“E qui si parla di gente che lavora, nella maggioranza dei casi con un contratto a tempo indeterminato. È facile pensare come la situazione diventi numericamente drammatica se venisse indagato un campione rappresentativo della popolazione tout court”.

Da qualche tempo una delle preoccupazioni della politica è quella della conciliazione dei tempi “Lavoro–Famiglia”, ovvero come trovare risorse, strumenti e modalità per non impedire alle persone (soprattutto alle donne) scelte sul proprio futuro personale e sociale. Se le risorse rappresentano oggi lo scoglio principale, individuare strumenti e modalità è il campo d'azione del sindacato, che con questo lavoro intende fornire esempi e stimoli sui quali muovere una contrattazione “solitamente condotta da uomini – sottolinea Maddalena D'Angelo, curatrice della ricerca – e spesso a loro misura disegnata, se è vero che è soprattutto la parte femminile degli intervistati che lamenta carenze organizzative e assistenziali nei contratti e nella programmazione del lavoro”.

Non è una sorpresa, quindi, che siano le donne a denunciare le maggiori rinunce per poter continuare a lavorare: dalla scelta del part time più o meno volontaria, alla rinuncia alla maternità piuttosto che alla vita di coppia; per gli uomini il massimo del rimpianto si esprime per il poco tempo dedicato ai figli o ai lavori domestici, segno tangibile della scelta fatta verso lavoro e carriera piuttosto che famiglia, caricata su altre spalle.

Così si scopre che per oltre la metà delle famiglie che lavorano i figli non sono mai più di due ( il 25,02% ha 1figlio, il 33,94% ne ha 2, il 34% nessuno), che quasi il 40 % degli intervistati (donne?) ha dovuto in qualche modo limitare le prospettive di carriera e non inseguire incrementi salariali (il 7,29% ha rinunciato a progressione di carriera; l' 1,82% ha lasciato il lavoro; l'11,51% ha modificato gli orari lavorativi; il 9,59%  ha accettato una mansione meno soddisfacente; l'8,53% ha avanzato una richiesta di part time); che la nascita dei figli comporta rinunce  per più del 40% degli intervistati, spesso accoppiata a altri eventi  o “necessità”, come il lavoro del partner (nel 5% dei casi).

La difficoltà di “imbastire” una famiglia (più o meno numerosa), ma anche il trovarsi nella conduzione di dover accudire un partente malato, cozza contro la rete del welfare pubblico.

I servizi comunali o comunque territoriali sono infatti in costante riduzione e aumenta il carico del welfare sulle famiglie: asili nido sempre più costosi, trasporti spesso inesistenti o comunque non utili ai tempi del lavoro; reti di assistenza carenti per la cura di anziani e bambini non autosufficienti: la percezione della scarsa organizzazione dei servizi qui è abbastanza ripartita tra uomini e donne.

Quasi il 30% degli intervistati della CISL lamenta forti carenze nella rete dei servizi, soprattutto perché costosi (5%), con orari incompatibili (4%) rispetto agli impegni lavorativi, oppure perché dotati di posti insufficienti.
Così “esplodono” le reti informali, cioè la costituzione di un welfare di vicinato che supplisce alle mancanze del pubblico: in questo ambito, come è ormai naturale, la parte del leone la fanno i nonni, ai quali fa riferimento quasi il 35% degli intervistati; il 16% si appoggia a altri parenti, quasi il 10 utilizza l'aiuto di  amici e vicini di casa.

Ma la richiesta di un potenziamento dei servizi sociali e assistenziali è presente nella maggioranza degli intervistati: l'ampliamento dei servizi di assistenza è richiesta da circa il 28% dei casi; per il 33% è urgente mettere mano ala riorganizzazione scolastica, con servizi dopo scuola e prolungamento dei tempi di lezione.

Un capitolo a parte riguarda il trasporto pubblico, utilizzato soltanto dal 5,85% degli intervistati, ma ritenuto insufficiente nel 32% dei casi, che ne chiede il potenziamento.

“Emerge infine con forza, nell'ambito delle richieste “sindacali”, la richiesta di flessibilità negli orari – aggiunge D'Angelo - , ancora una volta avanzata dall'emisfero femminile della ricerca, che sappia permettere e garantire una più alta conciliazione dei tempi famiglia – lavoro. Questi dati, una volta analizzati e studiati attentamente, saranno presentati alle categorie della CISL, così che diventino materia di confronto e rivendicazione ai tavoli delle contrattazioni aziendali e territoriali”.

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