In crisi anche i centri commerciali
Confesercenti: «Troppe aperture»

Anche i supermercati e i centri commerciali abbassano le saracinesche. Colpa della crisi economica, ma anche dell'assenza di una politica urbanistica e commerciale che in questi anni ha consentito alla grande distribuzione di aprire punti vendita praticamente ovunque.

Anche i supermercati e i centri commerciali abbassano le saracinesche. Colpa della crisi economica, ma anche dell'assenza di una politica urbanistica e commerciale che in questi anni ha consentito alla grande distribuzione di aprire punti vendita praticamente ovunque, senza una previa verifica dei bisogni del territorio.

Ne è derivato un negativo effetto «boomerang»: non solo la rete dei negozi di vicinato ha subìto contraccolpi pesantissimi, ma anche la stessa grande distribuzione ha iniziato un processo di prevedibile involuzione. In città, negli ultimi mesi, si sono susseguite chiusure di supermercati anche storici. E nei centri commerciali in provincia aumentano i «buchi neri», con spazi abbandonati sempre più ampi.

Il rischio, ora, è di trovarsi con enormi scatole vuote e ulteriori problemi occupazionali da affrontare. Il danno ormai è fatto, ma la speranza è che dagli errori commessi si tragga una lezione per il futuro. «Norme e regole urbanistiche che hanno consentito in pochi anni una così alta concentrazione di grandi superfici di vendita in un unico territorio – sottolinea il presidente di Confesercenti Giorgio Ambrosioni - devono lasciare il posto ad una migliore disciplina del settore commerciale e alla definizione di criteri urbanistici più stringenti per l'attività di pianificazione».

«Negli anni appena trascorsi, in Bergamasca, non si è mai negata alcuna autorizzazione all'insediamento di grandi strutture di vendita anche quando la nuova offerta commerciale pareva, usando il buon senso, ridondante o eccessiva rispetto alle necessità dei consumatori e dei paesi».

Con motivazioni diverse (dalla necessità di colmare un vuoto d'offerta a quella di trattenere l'evasione dei consumi) tutte le nuove aperture sono state autorizzate nel vuoto programmatico delle amministrazioni locali, spesso più interessate agli oneri urbanistici che alle ricadute sul territorio.

La «cannibalizzazione» dei negozi di vicinato
I dati parlano da soli (vedi tabelle allegate). Negli ultimi sette anni, in provincia di Bergamo, le superfici della grande distribuzione sono passate da 333.276 mq a 469.861, quelle della media distribuzione da 527.686 a 624.288. La superficie degli esercizi di vicinato è invece scesa da 870.139 a 792.148 mq. Nel 2006 i piccoli esercizi occupavano il 50% della superficie totale commerciale provinciale, nel 2012 si è scesi al 42%. La grande distribuzione è invece salita dal 19 al 25%, le medie strutture dal 31 al 33%.

Che la misura fosse colma da tempo se ne è finalmente accorta la Regione, cui spetta il potere di rilasciare le autorizzazioni commerciali ai grandi centri commerciali. In attesa di aggiornare le nuove linee guida delle politiche commerciali, il Pirellone ha disposto una moratoria sulle nuove aperture fino al 31 dicembre 2013.

«Serve una pianificazione sostenibile»
«Il difficile contesto economico e le dinamiche evolutive richiedono la necessità di individuare nuovi e adeguati elementi di indirizzo e di governance del settore commercio - rileva Ambrosioni -. In particolare ci aspettiamo che la Regione preveda azioni che permettano di valutare con più precisione l'impatto delle grandi strutture sulla rete commerciale locale e, in particolare, le ricadute economiche ed occupazionali sul territorio. Non ultimo, va considerato anche l'aspetto di sostenibilità ambientale e sociale».

Le «cattedrali del consumo» rischiano infatti di provocare la desertificazione non solo dei centri storici ma anche della dimensione sociale dell'individuo. «Le aperture domenicali indiscriminate, contro cui Confesercenti si batte - conclude il presidente - hanno svuotato di significato il riposo festivo e l'hanno sostituito con il meccanico rito dello shopping a tutti i costi, che non porta benessere né materiale né spirituale, ma finisce solo con il favorire l'interesse di pochi».

Confesercenti Bergamo

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