La svalutazione dello yuan preoccupa
«Gli asiatici saranno più competitivi»

La svalutazione dello yuan cinese preoccupa i produttori del tessile italiano e Bergamasco. Una doccia gelata, ma in un certo senso annunciata.

Comunque un colpo che ha mandato ko il mondo della moda in Borsa in tutta Europa e che coinvolge anche il settore manifatturiero della Bergamasca che con il mondo fashion lavora.

La People’s Bank of China ha infatti effettuato la maggiore operazione degli ultimi vent’anni, svalutando la quotazione ufficiale dello yuan nei confronti del dollaro dell’1,9%, specificando che si tratta di una misura presa «con l’obiettivo di facilitare il bilanciamento dei flussi di import e export».

«Capire le intenzioni dei cinesi non è mai facile – commenta Silvio Albini, alla guida dell’omonimo Cotonificio di Albino -. Certo è che questa svalutazione serve per renderli più competitivi. Un’operazione che non mi meraviglia – continua -: il mercato cinese per noi che esportiamo e per il made in Italy in generale, ma anche per chi esporta dalla Cina considerando la sua forza come macchina industriale, è in rallentamento». Un modo quindi per combattere la frenata dell’economia interna: «Si tratta comunque di un segnale inquietante, ma la Cina resta un Paese su cui continuare a investire: 1 miliardo e 300 milioni di consumatori contano».

La svalutazione non fa però pensare agli imprenditori bergamaschi che i consumatori cinesi faranno shopping in patria, piuttosto che durante i viaggi all’estero, e in particolare in Europa: «La svalutazione dello yuan ridurrà la distanza dei prezzi tra Cina ed Europa, in particolare per la moda, ma quando si parla di lusso a questi livelli il gap non è considerabile – commenta Massimiliano Bresciani, titolare del Calzificio Bresciani di Spirano -. I problemi della Cina sono noti da tempo, ma preoccupano di più le fluttuazioni negli ultimi sei mesi euro-dollaro ed euro-sterlina: un punto e mezzo al giorno. La questione yuan è la punta di un iceberg, conseguenza anche di un’ondata di moralizzazione, con una politica che vuole portare i consumi in casa».

Tra la lotta alla corruzione, il rallentamento dell’economia locale e le manifestazioni per la democrazia, il mercato cinese sta cambiando pelle. Ma c’è un altro aspetto : «Lo yuan basso renderà ancora più competitive le aziende cinesi, che si riproporranno come realtà più economiche nella produzione, anche del lusso che, sempre più, esternalizza parte di attività», spiega Flavio Forlani, titolare de La Rocca di Martinengo che produce sportswear per grandi marchi. Il contrattacco deve essere chiaro: «Qualità, artigianalità, innovazione, servizi personalizzati», sottolinea Forlani.

La Cina resta comunque un mercato di grande impatto: «Perché altamente popolato e perché in continuo sviluppo - commenta Alberto Paccanelli, a.d. della Martinelli Ginetto di Casnigo -. Ciò che avviene in questo Paese rischia di avere un forte impatto sui conti europei: il mercato locale non cresce e non crescono i consumi del lusso». Guardandosi però intorno: «L’Europa è il nostro mercato domestico e non cresce come i Paesi del Far-East, ma dobbiamo continuare a investirci», sottolinea Albini. E poi ci sono gli Usa, «mercato principe per il made in Italy»; l’India, nonostante i dazi elevati e la mancanza di infrastrutture; Corea e Giappone, «mercati su cui lavorare con assiduità, costruendo reti commerciali». Con una considerazione, quasi un monito: «Questo crollo è l’ennesima dimostrazione – conclude Albini – che è necessario dividere i rischi in tante parti del mondo». La Russia lo ha dimostrato molto bene.

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