Banche, il governo
fa la voce grossa

Nel 2004 uscì un fortunato saggio dal titolo «Licenziare i padroni» di Massimo Mucchetti. La tesi era che dopo Tangentopoli e dopo la privatizzazione di molte imprese pubbliche, l’Italia sembrava avviata a un’economia basata sulla concorrenza e la trasparenza. Invece i grandi protagonisti del capitalismo avevano investito i soldi per regolare i loro conti anziché investirli nella crescita, pubblicizzando le perdite e privatizzando gli utili. L’autore, paradossalmente, si chiedeva se l’abolizione dell’articolo 18 che tutela dai licenziamenti economici non dovesse essere esteso anche ai capitalisti.
Tredici anni dopo potremmo estendere la provocazione chiedendoci se per salvare il sistema bancario non valesse la pena di «licenziare i banchieri e i manager» responsabili di molte disastrate gestioni, invece di accanirsi su dipendenti, piccoli azionisti e risparmiatori. Dopo vent’anni di liberalizzazioni e privatizzazioni siamo tornati allo Stato padrone e allo Stato banchiere, unico modo per salvare il sistema del credito e delle aziende.

Il Governo sta per mettere a debito pubblico oltre venti miliardi di euro per sanare le perdite del Monte Paschi e di altre banche in crisi. La novità è che sta facendo anche la voce grossa, puntando il dito contro i responsabili della mala gestione. Nell’audizione presso la commissione congiunta Camera e Senato sul disegno di legge «Salva banche» il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha annunciato il pugno di ferro con banchieri e manager che hanno portato il credito in questa situazione, dimostrando la loro inettitudine e spesso violando deontologia e codice penale, e che vanno sanzionati. Quanto alla pubblicazione di una lista nera di grandi debitori insolventi che hanno portato molte banche sul lastrico, in accordo con la proposta del presidente dell’Abi Antonio Patuelli, pur condividendo l’importanza della trasparenza, il ministro ha però invitato a distinguere tra comportamenti «scorretti» e comportamenti «sfortunati».

La linea è quella di estirpare le mele marce per non penalizzare l’intero sistema del credito, che vive sulla fiducia dei suoi risparmiatori. E non potrebbe essere diversamente: con quale faccia lo Stato dovrebbe mettere a debito venti miliardi di euro senza prima chiedere il conto a chi ha portato i contribuenti italiani a sborsare una somma simile? Da questa storia escono con le tasche più leggere non solo i piccoli risparmiatori delle banche ma tutti gli italiani. Perché prima o poi qualcuno chiederà conto di quei venti miliardi che lo Stato ha preso a prestito e che dovranno essere saldati. Un debito è sempre un debito, anche se lo sottoscrive il Tesoro.

Questo atteggiamento del governo, necessario ma mai adottato dai governi precedenti, è assolutamente necessario per chiedere sacrifici agli italiani e per ripristinare la fiducia nelle banche. Fiducia che, dice giustamente Padoan, «è un bene pubblico ed è molto difficile ricostruirla».

Il ministro ha spiegato con molta chiarezza che non tutte le banche sono in difficoltà, ma che per alcune «ci sono state gestione da parte di amministratori e management che possono aver violato norme deontologiche e penali», ad esempio vendendo strumenti finanziari «a risparmiatori che per il proprio profilo non avrebbero dovuto assumere i relativi rischi» e rimasti vittime di «forzature».

Ma ora si cambia, ha promesso il ministro dell’Economia. I cittadini devono essere in grado di difendere i loro interessi e il Governo «sta predisponendo un piano, che potrebbe partire quest’anno». Alleluia. Le parole di Padoan si legano a doppio filo con quelle del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, a proposito della crisi Alitalia, anch’esse insolitamente dure.

Secondo il ministro la situazione dell’ex vettore nazionale ormai privatizzato da anni «è stata gestita oggettivamente male» ed è «inaccettabile che una gestione non buona venga ribaltata sui lavoratori». Quindi prima di finanziare per l’ennesima volta ammortizzatori sociali a spese dei contribuenti in vista di esuberi Calenda vuole vedere qualche presa di responsabilità da parte del management. Vedremo come risponderanno i diretti interessati, se faranno pulizia e trasparenza al loro interno, poiché «l’esempio deve venire dall’alto» oppure faranno orecchie da mercante.

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