Banche in saldo
Spagna più veloce

A quanto pare, oggi le banche valgono un euro (almeno quelle in crisi). È stato questo il prezzo pagato da Ubi e da Bper per le 4 good banks italiane, ed è anche quanto sborsato (si fa per dire) da Santander per il Banco Popular, istituzione finanziaria spagnola da tempo in difficoltà soprattutto per l’accumulo di crediti immobiliari insoluti. Non è la sola analogia con la vicenda di Banca Etruria e le altre tre, ma forse sono più importanti le differenze. Cominciamo dalle prime: una banca va in difficoltà, per un insieme di fattori d’ambiente (la lunghissima crisi economica) e individuali (una gestione dei finanziamenti non impeccabile).

Con il passare del tempo viene a trovarsi a corto di liquidità e rischia di non poter fronteggiare i depositi e le obbligazioni acquistate dai risparmiatori. Intervengono le autorità europee e nazionali (Bce, Commissione europea, Banco de Espana) che concordano un piano di risoluzione: l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni convertibili e subordinate (quelle più remunerative ma più rischiose) e la messa in vendita della banca in crisi al miglior offerente. Santander, ora la maggiore banca spagnola, se la aggiudica al prezzo di un euro ma con l’impegno di ricapitalizzarla per ben 7 miliardi, che reperirà facendo a sua volta un aumento di capitale dello stesso ammontare. Fin qui le analogie: non si toccano i depositi e le obbligazioni ordinarie ma solo le azioni e le obbligazioni più rischiose; non c’è utilizzo di risorse pubbliche; la banca in crisi continuerà la sua attività, magari su scala ridotta, nell’ambito di un nuovo gruppo creditizio più grande e più solido.

Ma veniamo alle differenze. Le due più importanti sono i tempi e i costi. La risoluzione del Banco Popular è durata 5 giorni (la dichiarazione di stato di crisi è del 3 giugno e oggi è avvenuto il passaggio di proprietà); quella delle italiane alla fine avrà richiesto 18 mesi. Il costo del risanamento delle nostre 4 supererà i due miliardi e mezzo, anticipati dalla Banca d’Italia la quale poi se li farà rifondere dal fondo interbancario di tutela dei depositi, cioè dalle altre banche (curioso settore quello in cui devi pagare il fallimento di chi ti ha fatto concorrenza sleale). Ci sono altre significative differenze, come per esempio il processo di vendita dei crediti deteriorati e il quadro normativo in cui è scattata la risoluzione, ma vorrei soffermarmi su tempi e costi perché sono fra loro collegati più di quanto sembri. Tutti sanno che un’azienda in crisi deperisce sempre di più in attesa della sua ristrutturazione o della liquidazione e quindi non c’è niente di peggio che lasciarla nel limbo per un periodo lungo. I clienti si disaffezionano, il monte dei prestiti si riduce naturalmente per il rimborso delle rate, non si fanno investimenti, così importanti in questo momento di innovazione tecnologica travolgente nel sistema bancario. Questo spiega, o concorre a spiegare, perché quando è partito il risanamento delle 4 banche si sperasse di venderle recuperando l’investimento fatto per ricapitalizzarle e alla fine, oltre a non riprendere quei fondi, è stato necessario immettere altro denaro. Se si fosse riusciti, come inizialmente si era programmato, a chiudere la partita in pochi mesi, se non in poche settimane, il risultato sarebbe stato molto diverso.

Già, ma perché noi ci abbiamo messo un anno e mezzo a fare quello che gli spagnoli hanno fatto in 5 giorni? Intanto ci sono profonde differenze di contesto: il sistema bancario iberico, grazie all’azione di risanamento compiuta anche con risorse pubbliche dal 2012 in poi, è oggi più solido; là esiste una grande banca che è stata in grado di affrontare un boccone molto più grosso delle nostre 4 e infine gli analisti dicono che la banca di Madrid fosse più appetibile dal punto di vista imprenditoriale. Questo però non spiega tutto. Da noi è mancata la possibilità di pianificare l’operazione perché eravamo alla vigilia dell’entrata in vigore del bail-in, il coinvolgimento dei depositanti nei fallimenti bancari, ma quello che più ci ha ostacolato è stato il difficile rapporto con l’Europa e in particolare con la Commissione europea, che è parsa più preoccupata di evitare gli aiuti di Stato che non di sostenere uno dei suoi Paesi membri a risolvere un problema. L’esperienza spagnola potrà essere un prezioso riferimento per il futuro. Sperando che non serva.

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