Centesimi e bufale
Il Belpaese alla frutta

Sulle ali dei social si è abbattuta sul Paese una tragedia nazionale, ben superiore alla crisi dello spread del 2011, al crack Lehman’s Brother del 2008 e forse al crollo finanziario di Wall Street. Stiamo parlando dei sacchetti di plastica sotto i 15 micron usati nei supermercati per frutta e verdura, dal primo gennaio direttamente pagati dai clienti uno o due centesimi per un emendamento inserito nel decreto Mezzogiorno. La decisione è diventata un caso politico, in questa campagna elettorale in cui le bufale internettiane rischiano di fare la parte del leone, e non si capisce come mai non sia ancora intervenuto Mattarella, o almeno Mario Draghi.

Il provvedimento, si legge in molti post che invitano alla «call action» (fate girare!), è stato fatto per avvantaggiare un’amica di Renzi, titolare di una ditta che ha il monopolio sui sacchetti di plastica biodegradabili. Da quando la notizia circola con effetto virale («è tutto un magna magna» su chi fa fatica a magnare), nei supermercati si è visto di tutto: cespi di lattuga a vista, zucchine etichettate a uno a uno, mandarini e arance che rotolano impietosamente dai carrelli come palline da tennis, mazzi di sedano portati in giro sotto le ascelle come le baguette francesi, mentre sono schizzate a mille le vendite di frutta e verdura confezionata (che peraltro costa ovviamente molto di più per il servizio, ben oltre i due centesimi dei sacchetti).

Peccato che tutto giri intorno a una gigantesca bufala, o fake news, se preferite un termine più evoluto. Un po’ come la storia delle brioche di Maria Antonietta o i coccodrilli nelle fogne di New York.

La decisione infatti è stata presa per recepire una direttiva Europa del 2015 (la 270) che tende a disincentivare, per evitare l’inquinamento ambientale, l’uso della plastica, anche quella in materiale leggero usato per frutta e verdura nei supermarket, e ad evitare una procedura d’infrazione. In secondo luogo i sacchetti venivano già pagati indirettamente poiché i supermercati scaricavano i costi operativi spalmandoli sul costo finale dei prodotti sugli scaffali. Ora semplicemente i consumatori si vedono stampato il prezzo sull’etichetta, per una maggiore consapevolezza. Si è calcolato che i consumatori continueranno a spendere da 1,5 a 3 euro all’anno per effetto di questa decisione, soldi come detto che già spendevano anche se non se ne accorgevano (così come non si accorgevano dei costi delle pulizie e o del personale). E comunque molto meno dell’aumento in dodici mesi di due o tre prodotti che acquistano abitualmente sui bancali.

E l’amica monopolista di Renzi? Probabilmente si allude alla ricercatrice di chimica e imprenditrice Catia Bastioli, salita sul palco in una delle Leopolde del Pd (ma a quel punto dovremmo definire «amici» in combutta con Renzi anche l’astrofisica Samantha Cristoforetti, Brunello Cucinelli, Gigi Buffon e Lorenzo Cherubini). Peccato che l’azienda di sacchetti di plastica biodegradabile di cui è amministratrice delegata la Bastioli, la Novomont, sia sì una dei maggiori player, ma non certo monopolista, dato che sul mercato operano 150 aziende per un totale di 4 mila dipendenti e 350 milioni di fatturato. Tra l’altro l’«amica di Renzi» ha depositato 900 brevetti internazionali (tra cui il Mater-Bi, il materiale vegetale che sta rivoluzionando la produzione). È considerata una delle protagoniste della cosiddetta economia circolare (l’economia che ricicla le risorse) in Italia. Dovrebbe essere un vanto il fatto che le sue imprese facciano da battistrada allo sviluppo sostenibile e producano lavoro. E invece tutto questo si inserisce nel solito medievale pregiudizio del «popolaccio» dei social (e della strumentalizzazione da campagna elettorale) nei confronti di tutto ciò che è ricerca e innovazione.

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