Centrodestra, la crisi
a Milano pesa il doppio

Sabato e domenica prossimi a Milano si terranno le primarie del centrosinistra per scegliere la candidatura a sindaco della città più moderna e all’avanguardia d’Italia. Sarà una battaglia dura tra i quattro candidati, ognuno dei quali espone un profilo politico molto marcato: accanto agli esponenti della sinistra più o meno radicale, c’è l’uomo dell’Expo, quel Giuseppe Sala, indicato da Renzi, che è il candidato favorito se non altro per la fortissima esposizione mediatica di cui ha goduto (senza forti danni, almeno finora) nell’ultimo anno.

Sala è un moderato che verrebbe più facilmente da collocare in un ambito di centro o centrodestra che di centrosinistra: del resto il grande pubblico lo cominciò a conoscere nel 2009 quando il sindaco Letizia Moratti lo chiamò a ricoprire il ruolo di direttore generale del Comune. La radice politica dell’uomo è «dall’altra parte» eppure proprio lui ha forti possibilità di diventare il candidato sindaco di Renzi, del Pd e del centrosinistra.

Quando la macchina delle primarie inaugurerà la corsa del centrosinistra per confermare il proprio potere sulla città anche nel dopo-Pisapia, il centrodestra meneghino rimarrà muto e inoperante: lo schieramento non ha infatti scelto il proprio campione e nemmeno un metodo per individuarlo. Berlusconi, Salvini e Giorgia Meloni non hanno ancora trovato l’accordo e anche l’ultima riunione, quella della notte tra domenica e lunedì dopo la partita, è finita com’era cominciata, senza cioè un punto fermo cui aggrapparsi. Se va avanti così c’è il rischio della dispersione o dell’insignificanza, quella su cui spera un candidato moderato come Corrado Passera, l’unico in campo ma fuori dei recinti tradizionali.

Prima ancora di esplorare le ragioni per le quali il centrodestra non riesce ad ingranare la marcia, varrà la pena di considerare il fatto che una crisi di leadership e di iniziativa politica che si sviluppi e anzi esploda a Milano, per i berlusconiani e i leghisti pesa il doppio. Milano è stata la culla dei due motori politici che hanno dominato la seconda Repubblica sul versante della rappresentanza dell’elettorato moderato ed anti-comunista del Nord: Berlusconi e Bossi hanno fatto di Milano la loro roccaforte e si sono proposti come i migliori rappresentanti, l’uno dell’operosità imprenditoriale lombarda, l’altro della sempiterna protesta contro Roma, il Meridione e le loro pecche. Sono stati i sindaci azzurri e lumbard a raccogliere a lungo l’eredità dei socialisti che tradizionalmente guidavano palazzo Marino nella Prima Repubblica. E proprio Beppe Sala oggi sarebbe il più coerente prosecutore di quella tradizione, anzi persino di ciò che l’ha preceduta negli anni ’80. Ma non sarà così.

Berlusconi, a capo di una forza politica in evidente difficoltà ormai da troppo tempo, considera anche solo l’idea delle primarie nel centrodestra come una sorta di lesa maestà nei suoi confronti, però nello stesso tempo non trova un candidato che, scelto da lui, debba per forza o per amore piacere a tutti gli altri. Salvini, che al contrario si sente forte di un partito gagliardo, in crescita e senza complessi di subordinazione verso il sire di Arcore, non accetta diktat da nessuno e sarebbe pronto alle primarie se non altro perché è convinto di vincerle. La Meloni prova a rientrare nel gioco se non altro perché vorrebbe influenzare la scelta su Roma, la sua città dove – ma meriterebbe un discorso a parte – la destra si trova in una situazione simile e persino peggiore, con tutti contro tutti e nessuno con una idea o una proposta decorosa nello sfascio morale e amministrativo della Capitale. A Milano come a Roma il centrosinistra sta per mettere in moto la farraginosa, contestata ma pur sempre attiva macchina delle primarie: da essa qualcosa uscirà. Nel centrodestra, nazionale, milanese e romano, per il momento si avverte solo il senso di vuoto.

Quanto accade negli schieramenti politici ha sempre delle ragioni complesse che affondano nell’esperienza e nelle contraddizioni di anni. Ma la crisi del centrodestra ha un che di singolare solo se consideri che il suo bacino elettorale – come dicono tutti i sondaggi - è lì, intatto, e nessuno – nemmeno Renzi – riesce ad ereditarlo in misura massiccia: piuttosto esso si riversa nell’astensionismo. Eppure i politici di centrodestra domenica scorsa sono stati i soli ad essere stati accolti con favore tra i partecipanti (non sul palco) della grande manifestazione del Family Day al Circo Massimo: lì c’era in carne e ossa un pezzo di elettorato che chiede di essere politicamente rappresentato. Qualcuno quella richiesta dovrà essere in grado di raccoglierla, prima o poi.

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