Corruzione, una piaga
nel tessuto morale

Venticinque anni fa la Commissione «Giustizia e pace» della Conferenza episcopale italiana elaborò un documento – intitolato Educare alla legalità – nel quale si sottolineava l’esigenza di riportare l’uomo alla misura del suo essere profondo al fine di recuperare e rinsaldare il suo legame con i valori della giustizia. Valori che non dovevano limitarsi a esercitare il rispetto «passivo» delle leggi, ma che dovevano collocarsi nella sfera delle virtù «attive» delle persone. In tale quadro l’educazione alla legalità andava intesa come esigenza di cogliere nella sua essenza tutte le potenzialità necessarie a rispettare le leggi con lealtà e intelligenza non tanto per assecondare un generico «senso del dovere», ma per vivere una «vita buona».

Pochi mesi dopo – con le indagini della Procura di Milano – veniva a galla un sistema di corruzione e malaffare che scardinò equilibri politici consolidati e diede inizio a quello che sembrò essere un vento di rinnovamento morale. Sono passati due decenni e le vicende politico-giudiziarie del Paese hanno dimostrato ad abundantiam come il malaffare, la corruzione siano ancora vivi e vegeti.

Ma vi è un fenomeno ancor più strisciante e pericoloso, costituito dal degenerare della morale «comune» verso forme di allentamento e allontanamento dai valori profondi richiamati nel documento della Cei. Il fondo della questione è nel tessuto morale e civile dell’intero Paese. La corruzione in Italia potrebbe essere assimilata all’influenza: non si sa quanti la prenderanno, ma certamente ad alcuni capiterà di ammalarsi. Di fronte a uno scenario così stancamente ripetitivo, le prime, istintive, risposte sono tutte sbagliate: «È sempre lo stesso schifo, sono tutti uguali»; «inutile indignarsi, tanto non cambierà mai nulla»; «i dipendenti pubblici sono una massa di corrotti». Risposte che producono il solo esito di avvilire la pubblica opinione, allontanandola dalla partecipazione al «governo dei beni comuni» e scoraggiando quanti, in ogni settore, fanno onestamente la loro parte. Occorre, all’opposto, non stancarsi mai di distinguere, per evitare generalizzazioni fuorvianti.

Lo smantellamento del sistema – indubbiamente poco incisivo – dei controlli preventivi aveva una sua ragion d’essere, perché tendeva a indirizzare l’azione dei controllori sull’efficacia dell’azione pubblica, piuttosto che sui singoli atti di spesa. Di fatto, in particolare nelle amministrazioni territoriali, i nuovi meccanismi di controllo si sono dimostrati assai lacunosi. A poco sembra essere valsa finora l’azione di autorità pubbliche che hanno lo specifico compito di controllare le spese pubbliche (la Corte dei Conti) o di contrastare la corruzione (l’Autorità nazionale anticorruzione). Il baluardo principale resta la magistratura ordinaria, che arriva, per definizione, quando i buoi hanno lasciato le stalle. Cioè, quando i reati sono da accertare e da punire. Questo sbilanciamento è la prova più lampante del vero nodo del problema: sono deboli gli anticorpi. In tutti i gangli del Paese. A livello politico, una selezione del ceto di governo dominata dalla cooptazione (raramente dei migliori); a livello amministrativo, con fenomeni sempre più marcati di prevalenza dell’appartenenza politica rispetto alla competenza e all’onestà; nel tessuto sociale con un progressivo distacco dall’impegno civile. Occorrerebbe cominciare da lì.

Il caso Consip ha fatto riemergere uno scenario leggendario che ripropone i fasti della Milano da bere e delle mazzette nelle mutande. Come l’araba fenice rispuntano in tutto il loro fulgore personaggi che credevamo consegnati alla storia giudiziaria del Paese e che speravamo avessero deciso di dismettere la professione di tangentisti e corruttori. Niente di più falso. Il tangentista presuppone, per definizione, colui che le tangenti le pretende; il corruttore non potrebbe campare senza persone corruttibili. Ecco che le indagini della procura di Napoli ripropongono sul proscenio alcuni vecchi protagonisti di un’Italia del malaffare mai doma, mai morta. Questi personaggi sono una certezza, invecchiano soltanto anagraficamente. Come quei vecchi giocatori di briscola o tressette, pronti a dimostrare che il tempo non offusca lo smalto dei veri campioni.

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