Così l’Italia impara
l’arte e fa il pieno

Uno Stato si fonda su due pilastri: la politica che indica gli obiettivi e la pubblica amministrazione che li deve perseguire. Lo dice un maestro del settore quale Sabino Cassese e lo capiscono tutti. L’economia italiana è tra le prime dieci al mondo ma si deve affidare ad una politica in eterna convulsione e ad un’amministrazione pubblica che in termini di efficienza è al 50° posto nelle graduatorie internazionali.

Uscire dalla crisi nella quale versa il Paese da otto anni a questa parte vuol dire affrontare un problema che ben 34 ministri della Pubblica amministrazione in 70 anni di vita repubblicana non sono riusciti a risolvere. Fa quindi piacere leggere che in un ramo strategico per lo sviluppo economico nazionale quale è quello dei Beni culturali il numero di ingressi nei grandi musei italiani nel 2016 abbia raggiunto quota 44,5 milioni con 172 milioni di incassi. I biglietti dal 2013 hanno avuto un incremento del 15% con 45 milioni di entrate in più. Questi sei milioni di visitatori in più hanno viaggiato, dormito, mangiato speso in Italia e quindi hanno apportato reddito.

Ecco un esempio di come una pubblica amministrazione ben gestita possa essere collettore di risorse non solo nel suo settore di competenza ma per l’intero territorio in cui opera. Mantova per esempio supera per numero di visitatori la Pinacoteca di Brera a Milano ed ha scalato undici posizioni nella classifica dei luoghi più visitati. Ai margini della Lombardia produttiva, fuori dalle grandi rotte turistiche a Mantova hanno capito che il patrimonio artistico dei Gonzaga è una ricchezza che va gestita. Se i visitatori arrivano,il traino economico è garantito. Da qui le varie attività culturali e di allestimento che segnano la vita della città per tutto l’anno e ne fanno un grande accentratore di iniziative. Com ’è potuto accadere? Le Sovrintendenze in Italia sono molto competenti ed hanno un personale fortemente qualificato. La loro funzione è appunto conservare e tutelare il bene artistico. Ma al punto in cui siamo la conservazione è solo una parte del problema. Certamente decisiva ma non sufficiente per rilanciare il settore. È come avere un prodotto competitivo di sicuro apprezzamento e poi non farlo conoscere ai possibili clienti o interessati.

Ecco, questo salto è stato realizzato con l’innesto nella struttura della dirigenza di ben 20 nuovi direttori museali. Tutti stranieri. Un passaggio fondamentale che ha scosso le mura di una struttura fondata sul reperto museale in quanto tale e quindi cosa morta. Tale è infatti se le viene precluso il contatto con la società, se non va incontro ai bisogni del visitatore. Un visitatore che va educato, seguito e messo nelle condizioni di capire il senso e il valore dell’opera d’arte. Solo così il museo riacquista quella vitalità che il tempo e la vetustà dei suoi reperti gli avevano sottratto. Per arrivare a tanto occorre però rompere luoghi comuni e mentalità che erano consolidati. L’immissione di forze esterne ha potuto portare quel vento di rinnovamento indispensabile per il rilancio del settore. Nella pubblica amministrazione si sono accumulati interessi che ambiscono all’immobilità e vedono come un pericolo tutto ciò che sa di nuovo. Occorre mettere in condizione gli addetti di poter entrare a contatto con il mondo esterno per interagire a livello internazionale.

Il ritardo italiano è soprattutto culturale: vedere nel nuovo che avanza un pericolo anziché un’opportunità. Questo il problema. Vale anche per l’istruzione. Le migliori scuole, le migliori università curano le relazioni internazionali, fanno scambi e creano nuovi corsi di laurea binazionali o multinazionali. È il solo modo per far avanzare il Paese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA