Costa e il governo
I conti a settembre

Dice Fabrizio Cicchitto che quello di Enrico Costa «è un caso singolo», non certo una valanga. Sarà, ma le dimissioni del ministro centrista degli Affari Regionali (con delega alla Famiglia) sono qualcosa di più di un fatto legato alle ambizioni personali piuttosto che alle circostanze politiche. Sono semmai un sintomo inquietante per il partito di Angelino Alfano e, più in generale, per i vari progetti centristi che si ripetono da anni con scarso successo.

Per Ap, la formazione alfaniana che ha preso il posto del vecchio Nuovo centrodestra, è un segnale inquietante perché è ancora un pezzo perso per strada: se si va a vedere la foto dei fondatori del Ncd, i «ribelli» che avevano detto no a Berlusconi consentendo prima la prosecuzione del governo di Enrico Letta e poi la nascita di quello capeggiato da Matteo Renzi, si noterà che sono parecchi i deputati e i senatori tornati all’ovile berlusconiano (o nei pressi) e Costa è solo uno di loro, l’ultimo, esattamente come Renato Schifani fu il primo.

Il punto è che Berlusconi, dopo anni di marginalità politica, di crisi anche personale, di guerra condotta tutta in difensiva, è tornato al crocevia delle ipotesi politiche della prossima legislatura. Non solo, i sondaggi ci dicono che Forza Italia e il centrodestra preso tutto insieme sono in crescita e sono tornati competitivi: il turno amministrativo d’inizio estate lo ha dimostrato inconfutabilmente, consentendo al centrodestra di mantenere le posizioni che aveva, di conquistarne di nuove e di ottenere anche successi insperati come la vittoria di Genova, tradizionale piazza «rossa».

Tutti questi elementi rendono attrattiva l’area berlusconiana, e chi se ne era allontanato tende a rientrare a casa (anche in vista di una possibile ricandidatura al Parlamento o in altri organismi). Questo riflusso rafforza ulteriormente gli azzurri che possono suonare in tutta Italia la tromba della rivincita dopo le lunghe stagioni di vacche magre e di umiliazioni giudiziarie come l’espulsione di Berlusconi dal Senato per effetto della legge Severino. Certo, per ora è un fenomeno che riguarda solo la nomenklatura politica: le elezioni politiche ce ne dovrebbero dare la controprova in termini di consensi popolari.

Tanto si rafforza Forza Italia, tanto si indeboliscono i centristi: l’ambizione di Alfano resta quella di costruire un soggetto alternativo e concorrenziale sia verso Berlusconi che Renzi ma oggi appare più incerta. È quello che Enrico Costa definisce «l’estremismo di centro», come dire: l’illusione che ci sia uno spazio autonomo tra FI, Pd e M5S tanto da costituire un domani l’ago della bilancia tra soggetti forti ma non egemoni.

Certo, molto dipenderà dalla legge elettorale che prima o poi le Camere sforneranno, ma si è già visto con quanta nonchalance Matteo Renzi abbia considerato le ragioni di Alfano ai tempi del (poi fallito) «sistema tedesco» che penalizzava proprio i piccoli partiti e dunque i centristi.

Quanto è accaduto, con le dimissioni di Costa, indebolisce il governo? Certamente sì perché comunque ne restringe l’area di maggioranza già in sofferenza, come hanno dimostrato i casi «simbolici» dello ius soli, del processo penale, della step-child adoption, della legittima difesa.

Naturalmente Gentiloni ora sostituirà Costa con un altro alfaniano e tutto andrà avanti, complice anche la pausa estiva. Ma a settembre i conti bisognerà farli: i risultati delle imminenti elezioni siciliane e la campagna elettorale per le politiche contribuiranno a rendere il clima più nervoso.

Insomma, se Cicchitto dice che «il caso Costa» riguarda solo Costa, qualcuno gli potrà rispondere che anche il mattone rotto di una diga è isolato prima di provocare la frattura dell’intero muro.

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